Poesia

Stando alla definizione del vocabolario Palazzi-Folena (Loescher editore), per poesia si intende un “genere letterario che si avvale di risorse ritmiche (rispetto di schemi metrici più o meno rigidi), sonore (rime, assonanze, silenzi, onomatopee, ecc.) e retoriche per conferire all’opera una carica espressiva del linguaggio piano; è veicolo principali di emozioni e sensazioni profonde”.

La poesia è, quindi, un genere letterario che si contrappone alla prosa e al “linguaggio piano”. Contrapposizione prima di tutto formale, verrebbe da dire. Nella poesia, infatti, le righe (chiamati versi) sono interrotte “da un a capo che viene ‘un po’ prima’ del margine destro della pagina e che spesso non coincide con la fine della frase” (Beltrami, 1996:17).

Naturalmente le cose non stanno proprio così.

Prima di tutto perché tale uso della versificazione non si è sempre avuta; nel Medioevo, per esempio, molti manoscritti presentano versi disposti l’uno di seguito all’altro come in prosa. Eppure nessuno dubitava che si trattasse di poesia, indice che la natura poetica del componimento non risiedeva nella disposizione dei versi.

Insomma, se la struttura del verso è uno degli elementi caratterizzanti la poesia (almeno a livello grafico), esso non è l’unico e neppure il più importante.

La rima, infatti, per lungo tempo – ben più del verso – è stato l’elemento che distingueva la poesia dalla prosa.

E poi bisognerebbe, almeno, aggiungere la disposizione delle parole, che non sempre segue l’ordine naturale o abituale del discorso (è la cosiddetta anastrofe). Questo accade sia per questioni metriche (vedi alla voce metrica), quanto per ragioni strettamente stilistiche. Nella lingua della quotidianità prevale, fondamentalmente, lo schema soggetto-predicato-complemento (i linguisti parlerebbero di Tema-Rema). Nella lingua poetica tale schema è volutamente alterato:

Allor che all’opre femminili intenta / sedevi (Leopardi, A Silvia)

In luogo del più prosaico:

Allor che sedevi intenta all’opre femminili

Volendo ricapitolare, la poesia rispetto alla prosa presenta:

– righe che non terminano con la fine del margine destro del foglio

– periodi che il più delle volte non terminano con il verso, ma proseguono in quello successivo (è il fenomeno dell’enjambement); per cui ci può essere non coincidenza tra la fine del verso e la fine della frase: “Zacinto mia, che te specchi nell’onde/ del greco mar da cui vergine nacque/ Venere, e fea quelle isole feconde/ col suo primo sorriso…” (Foscolo, A Zacinto)

– parole che spesso non seguono l’ordine abituale del discorso

– presenza di parole in rima

Ma, ovviamente, la differenza tra poesia e prosa è fenomeno “culturale” ancor più che “linguistico-formale”. La prosa nasce come forma di scrittura, infatti, informativa-descrittiva. Essa è essenzialmente la lingua della realtà, della quotidianità, dell’uso. La poesia è invece lingua dell’emotività, dell’interiorità. Se, come dicevo prima, i termini “poesia” e “prosa” acquistano valore culturale, allora “poesia” diventa tutto ciò che commuove ed esalta l’animo, mentre “prosa” è ciò che è legato agli aspetti della quotidianità, alla vita di ogni giorno. È poetico ciò che emoziona, commuove; è prosaico (spesso tale termine assume connotazioni negative) ciò che non suscita palpiti del cuore, che ha tono dimesso.

E qui le cose si complicano, perché paradossalmente esistono versi prosaici e passaggi in prosa di grande valore poetico.

Prendiamo, a mo’ di esempio, questo famoso incipit di A Cesena di Marino Moretti:

Piove. Mercoledì. Sono a Cesena, 
ospite della mia sorella sposa, 
sposa da sei, da sette mesi appena.

E confrontiamolo con la fine dell’VIII capitolo  dei Promessi sposi:

Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande”.

Non vi è dubbio che il primo brano presenti alcuni tratti tipici della prosaicità (tono dimesso, termini abituali, riferimenti precisi alla realtà), mentre il secondo evidenzi intenti poetici (disposizione delle parole, la ripetizione di alcune di esse [fenomeno chiamato anafora], la forte carica evocativa ed emotiva).

Alcuni anni fa Vincenzo Cerami in un convegno dal titolo “L’anima dei poeti” riportò tale aneddoto (ripreso, poi, dallo stesso Cerami nella sceneggiatura della Tigre e la neve di Benigni) accaduto al poeta Raffaele La Capria:

Lui [La Capria] era piccolino […] aveva una decina di anni e stava in campagna con la mamma. […] Di colpo un uccellino gli è andato a posare sulla spalla e [lui] è rimasto paralizzato, fermo, immobile, senza poter respirare. Il cuore ha cominciato a battergli sempre più forte, e lui era un misto di paura, di terrore, di esaltazione, qualcosa forse di carismatico, perché era una cosa molto bizzarra. È rimasto lì non sa quanto tempo, con questo uccellino sulla spalla, che di colpo, è volato via […].allora lui, tutto rosso in volto, stravolto, è tornato a casa, è corso dalla mamma e ha detto: “Mamma, mamma, pensa cosa mi è successo!”. La mamma, vedendolo così sbalordito, ha chiesto: “Cosa?”. “Pensa, un uccellino mi si è posato sulla spalla”. E la madre ha detto: “Va beh, ma cosa sarà mai?!”. Allora lui ha capito che doveva fare lo scrittore”.

Ecco, si può dire che la poesia dà voce ad un mondo “altro” rispetto a quello della realtà quotidiana. Un mondo fatto di sensazioni, emozioni e, quindi, spesso non razionalizzabile. Solo la poesia è in grado di rendere la gioia, lo sbigottimento del ragazzino con l’uccellino sulla spalla.

Acquista così grande importanza, nel linguaggio poetico, la parola, che deve essere essenziale, oltre che evocativa e musicale.

In linguistica ogni parola può essere analizzata sotto due punti aspetti, quello denotativo e quello connotativo.

La denotazione è il semplice significato letterario di un termine; per cui “siepe”, per esempio, è “una fila di arbusti disposta a recingere apprezzamenti di terreno”.

La connotazione è, invece, il contenuto emotivo, l’alone di suggestioni che caratterizza un termine e per estensione un testo. Per cui la siepe in Leopardi acquista un alto valore emotivo, aprendo lo spazio all’infinito.

Naturalmente il carattere connotativo di un termine è un fenomeno assolutamente personale, soggettivo. 

In poesia l’aspetto connotativo è spesso più importante di quello denotativo. Ne consegue un’altra differenza rispetto alla prosa: la poesia agisce in maniera differente in ognuno di noi, perché ciascuno interpreta – in rapporto alle proprie esperienze di vita – a livello connotativo una poesia diversamente. In sostanza, una poesia può suscitare ricordi ed emozioni privati.

Una poesia è, di conseguenza, un’opera aperta, che travalica il significato che il poeta stesso gli ha dato. Essa si sgancia dal suo ideatore e diventa patrimonio di tutti. Ecco perché la poesia è universale, dal momento che tutti gli uomini hanno provato nella propria vita determinate emozioni, avuto certe esperienze.

Pascoli diceva, però, che è capace di recepire meglio la poesia colui che sente dentro di sé il fanciullino, cioè quella parte non razionale capace ancora di usare l’immaginazione. Anche Leopardi afferma che l’uomo acquisendo razionalità perde la propria capacità poetica. Ne consegue che, essenzialmente, la poesia non è un fenomeno razionale. Essa ci dà informazioni, sensazioni, emozioni non utilizzando schemi logici e servendosi di un linguaggio spesso lontano dalla quotidianità, un linguaggio fatto di metafore, similitudini, simboli, ecc.

Se è vero che la poesia si presenta come un fenomeno irrazionale (quanto meno rispetto alla prosa come lingua della realtà), è pur vero che soprattutto nel passato essa è stata usata anche con intenti didascalici, narrativi e drammatici.

Inoltre, naturalmente, esistono generi poetici molto diversi tra loro; così come esistono poeti molto diversi. Volendo semplificare di molto possiamo individuare almeno due linee, due correnti, due filoni poetici che hanno attraversato i secoli:

– la poesia lirica, dove emerge l’Io del poeta, la sua interiorità. È la poesia d’amore, di introspezione, esistenziale.

– la poesia narrativa, dove il poeta cela il proprio Io per raccontare e descrivere determinati avvenimenti. È il caso della poesia epica per esempio.

Naturalmente tale schema non può essere inteso in senso rigido. Da una parte, infatti, la narratività può contenere una forte carica lirica (penso all’ottava del Tasso, per esempio). Dall’altra la lirica, per quanto poesia dell’interiorità, presuppone sempre un altro che ascolti (o legga); insomma, l’ emittente deve entrare in contatto con il mittente: “la lirica è il vedersi e il sentirsi dall’interno attraverso lo sguardo emotivo e la voce emotiva dell’altro” (Bachtin, 1988:153).

Un’ultima annotazione. Precedentemente ho parlato della funzione denotativa e connotativa della parola nella poesia. A queste occorrerebbe aggiungere un terzo elemento, quello “musicale”. Il poeta può, cioè, prediligere un determinato termine per il suo valore fonico e ritmico (per questo aspetto, vedi alle voci metrica e musicalità). In alcuni casi il valore del significante (cioè il suono di un termine) supera addirittura il significato (ciò che il termine vuol dire). Proprio questo aspetto per cosiddire musicale rende problematica la traduzione di una poesia in una lingua straniera. Il traduttore, infatti, si trova di fronte al dilemma se tradurre letteralmente, oppure lasciare spazio al suo estro creativo per mantenere certe sonorità (penso la rima per esempio) dell’originalità.

 

Bibliografia:

Bachtin M., L’autore e l’eroe. Teoria letteraria e scienze umane, Einaudi, 1988
Beltrami P. G., Gli strumenti della poesia, Il Mulino, 1996
Bertone G., Breve dizionario di metrica italiana, Einuadi, 1999

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