Samuele Bersani – Hotel Samuele
Sette anni di assenza (o quasi) discografica sono un’enormità. Lo sarebbero stati nel periodo in cui i dischi si vendevano ancora (e in cui uno dei pochissimi che si poteva permettere tempi così dilatati era Fabrizio De André), lo sono ancora di più oggi dove in molti “sgomitano”, cercano di avere un brano da inserire su Spotify per restare “vivo” nel perverso mondo dell’algoritmo, dell’ascolto consigliato. Sette anni sono un periodo lunghissimo per un cantautore. Sono un periodo lungo per un uomo. Ma non lo sono, probabilmente, per chi ancora caparbiamente crede che il prodotto artistico non debba sottostare alle leggi del mercato (ancor più quando questo mercato ha completamente stravolto le proprie regole).
Intendiamoci, non credo certo che Samuele Bersani sia così pazzo da non sapere che il suo è anche mestiere e che quindi alla fine quello strano “prodotto” che è la canzone debba essere immessa nel mercato. Solo che non ne fa una questione imprescindibile. Da questo punto di vista, e non certo solo da questo, davvero Bersani si presenta come uno degli ultimi grandi rappresentanti della cosiddetta “canzone d’autore”. Bella contraddizione: sette anni sono un’eternità per il mercato, ma non lo sono per l’arte che ha tempi ben diversi (vuoi per la ricerca dell’ispirazione, vuoi per il successivo labor limae). Ma detta così mancherebbe ancora un pezzo. Quando candidamente il cantautore ammette di aver avuto paura di essere stato dimenticato in questo lungo periodo di silenzio, fa una dichiarazione che travalica il mercato e l’arte. Mette in gioco le proprie fragilità umane. E così, per certi, aspetti, il cerchio si chiude. Da sempre per Bersani la canzone è – volente o nolente – “merce” (perché questo è il mestiere che egli pratica), prodotto artistico e necessità di mettere a nudo le proprie fragilità umane. Lo ha sempre fatto. Lo fa anche in questo splendido nuovo Cinema Samuele (e il rimando nel titolo al proprio nome di battesimo evidentemente non è casuale). Dieci tracce che sono certo dieci film, come tutti hanno sottolineato. Ma, attenzione, dieci film quasi sempre girati in soggettiva. Dieci piccoli gioielli (o, almeno, quasi tutti) in cui in filigrana egli parla anche di se stesso e di noi tutti. Tanto che, per citare i versi di un altro straordinario rappresentante delle canzone d’autore, Max Manfredi, usciti da quel cinema ci accorgiamo “che eravamo noi gli attori”.
Musicalmente Cinema Samuele è un album ricchissimo, in cui il cantautore da una parte fa suoi gli insegnamenti del pigmalione Dalla (e, si badi bene, non c’è emulazione, perché Bersani ha uno stile tutto suo, perfettamente riconoscibile), dall’altro porta avanti una ricerca di una forma canzone che travalichi gli standard classici. Detta in altri termini, ciò che manca in questo lavoro (e ciò sia letto non come nota di demerito) il pezzo forte, il brano acchiappa ascolti radiofonico. D’altronde a parte poche eccezioni ciò è accaduto in gran parte della sua produzione precedente. Insomma, la ricerca del ritornello musicalmente “forte” manca e quando c’è, il ritornello, si dilunga spesso in talmente tante battute da essere confuso con la strofa, mandando a gambe all’aria la forma canzone standard (formata, appunto, dal binomio strofa-ritornello), come accennavo sopra. Bersani si è poi intestardito per dare una patina sonora diversa dal solito, servendosi della preziosa collaborazione, in sede di arrangiamenti, di Pietro Cantarelli. Vanno così mescolandosi sapientemente, tra le dieci tracce del disco, synth, inserti elettronici, sezioni di fiati e chitarre rock.
Ma Bersani è artista che si intestardisce anche dal punto di vista testuale, da sempre. Alla ricerca della parola giusta, quella che riesca ad amalgamare alla perfezione il suono, il significante (che si deve sposare alla musica che lo accompagna) al significato che non deve mai essere ovvio e scontato. Da questa ricerca nascono le numerose figure retoriche che mai, però, appesantiscono il dettato: le metafore (“Precipito da un ghiacciaio di convinzioni/ con te che sei una fonte di piacere/ fortissimo”), le similitudini (“Una cresciuta fra delinquenti/ ed è pungente quanto un’ortica”, “Sei una poetessa/ in piena come un fiume”), le frasi apodittiche (“Se mi obbligassero ad un Dio non ci crederei mai”). Ma, soprattutto, le straordinarie personificazioni, come quella che caratterizza Il tuo ricordo (forse l’epitome dell’intero lavoro, una canzone che idealmente forma un perfetto dittico con Replay) dove il passato (che ha ancora evidenti tracce di una lei che non c’è più) diventa persona che occupa lo spazio mentale (il pensiero dominante, avrebbe detto Leopardi) dell’Io narrante, lo accompagna in ogni luogo del suo tragitto, persino sul treno (dove lui, il passato, ovviamente non paga neppure il biglietto). Prospettiva che sembra rovesciarsi invece in Pixel, dove è Bersani a immaginarsi una delle tante telecamera più o meno nascoste presenti nelle nostre strade. Ci spia, ci fotografa, fa un film (o “si fa un film”, per dirla nel linguaggio colloquiale). Potrebbe sembrare un mero gioco, ma non lo è, perché alla fine il brano è anche una riflessione sul ruolo del cantautore che non è poi così dissimile da quello di un regista. Chi meglio di lui, spia la vita degli altri, la fa sua e la racconta musicalmente. Facciamo caso al primo personaggio che la telecamera va a incontrare. È una persona che ha perso tutto alla slot e probabilmente vuole farla finita. Si potrebbe pensare al problema tanto attuale della ludopatia. Eppure a me viene in mente il protagonista di Vecchio frack di Modugno (padre, perché no, per certi aspetti di tutti i cantautori). Il cantautore “moderno” – che sia Bersani o altri, poco importa – è come il cantautore “antico”: osserva la scena, se ne appropria e poi la canta da solo davanti al mixer (proprio come la telecamera è sola di fronte alla moltitudine di persone che le passano davanti).
Ma i film presenti in questo cinematografo sono tanti e molti dei personaggi sono più o meno i tanti déraciné che Bersani ha già più volte cantato. Molti vivono un proprio blackout accompagnato da momenti, però, epifanici, di illuminazione. E l’alternanza tra luce e buio (altri termini che possiamo declinare cinematograficamente) è un altro dei gradi temi presente nel disco. Ce lo mostra chiaramente anche la splendida copertina (di Paolo De Francesco), in cui i tanti film illuminano le stanze mentali di Bersani (e dove troviamo un rimando al presente – lo striscione “Andrà tutto bene” – e il passato – l’orologio della Stazione di Bologna fermo alle 10,25).
Vediamoli, allora, più da vicino i protagonisti del Cinema Samuele. Ci sono le due ragazze innamorate e conviventi che la gente chiama un po’ spregiativamente Le Abbagnale. C’è il giornalista che perde il posto di lavoro per un articolo malevolo contro l’artista (dispotico e insopportabile… a cominciare già dall’alito) di punta (la canzone in questione, L’intervista, ha fatto saltare dalla sedia Michele Monina che si è riconosciuto immediatamente nel protagonista). C’è il disperato solitario protagonista di Harakiri, costretto a vivere in una roulotte (ma che per lui è un astronave), preso in giro persino – in una sorta di piccolo cameo – dai protagonisti di En e Xanax, ma che poi inaspettatamente “Dopo una serie giorni infelici/ venne fuori vestito di bianco/ sembrava una lucciola in mezzo a un blackout/ per fargli un regalo anche il cielo di colpo si aprì a serramanico/ come se spalancasse un sipario”. Ci sono i tanti film d’amore (Il tuo ricordo, Mezza bugia, Con te). C’è un film distotipo (Distopici, ti sto vicino), che potrebbe far pensare all’emergenza Covid e al lockdown e che è invece stata scritta ben prima. E c’è persino il simil horror-thriller psicologico a finale aperto, Il tiranno, tutto girato in soggettiva; canzone che ha una struttura quasi a chiasmo (per dire, ancora una volta il modo inusuale di scrivere di Bersani) ABCBCA: presentazione del protagonista (che, guarda caso, ricorda ancora una volta il cantautore: “Potrei immedesimarmi in tutti gli altri/ e come niente portare una persona che ho davanti/ prendendone il controllo momentaneo della mente/ a compiere dei gesti imbarazzanti”), ambientazione (“Il tiranno abita dall’altra parte/ oltre quelle cinque stanze”), irrompere della luna che sembra sì illuminare ma anche frenare l’aspirante assassino (“E poi c’è la luna che si gode dall’alto la scena/ a un millimetro dalla sua gola/ la mano però mi trema”), nuova descrizione dell’ambientazione, nuovo irrompere della luna, nuova autodescrizione del protagonista. Sfumato e titoli di coda. Non sapremo come andrà a finire. Ma se, come sospetto, anche in questo caso il presunto assassino è il cantautore nulla accadrà, perché nulla è realmente accaduto. E il tiranno vive solo nella testa del protagonista.
Non ho la pretesa di affermare che Cinema Samuele sia il miglior disco di Bersani. Quello che posso, però, affermare con certezza è che è un grande disco. Uno di quelli che saranno ricordati e resisteranno alle intemperie del tempo. E, quindi, no, difficilmente potremmo scordarci di Samuele Bersani.
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