Serena Diodati -Esistere

Alle volte basta la prima traccia per farci capire se un disco è un gran bel disco. È il caso del brano Dislessico che apre l’album d’esordio di Serena DiodatiEsistere. Una ballad di grande impatto dai vaghi e soffusi suoni sudamericani composto solo da voce, chitarra acustica e ricca campionatura di percussioni. Teniamoli bene a mente questi tre elementi, perché di fatto sono il marchio di fabbrica di tutto il disco. A cui vanno aggiunti “intemperanze” distorte, che fanno capolino già nella seconda traccia, L’ombra, per emergere in tutta la loro forza in Corro. Poi come una sorta di fiume carsico, la distorsione – che è poi probabilmente il correlativo oggettivo di un dolore esistenziale che emerge in più punti – va a fare da sottofondo in altri brani, si nasconde e riappare quando meno ce lo aspettiamo. Ecco, immaginiamoci un teatro. La regia della stessa Diodati, con l’ausilio fondamentale di Davide Fasulo e Federico Fantuz, porta sul proscenio, davanti a tutti, la voce di Diodati – con una estensione notevolissima e particolarmente curata – poi di spalle la chitarra acustica o classica, ancora più in fondo l’armamentario delle percussioni e quindi, dietro le quinte, l’elettronica distorta a fare da contraltare alla limpidezza della voce. D’altronde ci sarà bene una ragione se proprio il primo brano si intitola Dislessico. La dislessia ha il compito, infatti, di non rendere chiara la lettura; le sillabe si attorcigliano tra loro; le lettere non si incastrano come dovrebbero. Eppure il dislessico alla fine giunge a una lettura. Il tutto si armonizza. Esattamente come accade nelle canzoni di Diodati. Ma Dislessico è anche un brano per certi aspetti programmatico (e non a caso è posto in posizione forte, in apertura del lavoro): vedere il mondo distorto può essere un handicap oppure una grande opportunità, tanto che alla fine non si capisce se è la cantante a non avere gli strumenti di lettura o piuttosto se è il mondo che vieppiù si è tramutato in dislessico e quindi non si fa più leggere e interpretare (e tanto meno capisce noi). Poco male, perché l’incomprensibilità totale del reale porta a una lettura introspettiva. Si mira la realtà, certo. Ma “mirare” alla fine è verbo che fa il verso – etimologicamente parlando – a “mirror” e “mirroir”: meravigliarsi nel guardare dentro di sé, allo specchio. Ed è esattamente ciò che accade in Esistere – titolo emblematico – che è un lavoro in cui predomina un fortissimo lirismo. Per cui – come si dice in Corro – la dislessica Diodati cerca di mettere costantemente a fuoco ciò che vede, salvo poi autocorreggersi subito dopo, perché quella visione si è trasformata in lettura interiore: “metto a ferro e fuoco il cuore”. Se la realtà è illeggibile si deve a questo punto cercare di dare un senso al dolore, come in una sorta di seduta di autoanalisi (e sarà persino superfluo ricordare che L’Ombra, titolo della seconda traccia, è uno dei grandi archetipi Junghiani). Il dolore esiste, certo, ma se lo si mette davvero a fuoco lo si può anche lasciare scomparire. Da questo punto di vista l’epitome dell’intero disco non può che essere la title track, Esistere, in cui di fronte al dolore, al senso di colpa inculcato già in tenera età (“Respiro e non l’ho meritato”), allo sciame degli altri incuranti, si chiede la mano (e le carezze) alla sera di una figura benigna.

Al di là degli aspetti prettamente “contenutistici”, ciò che comunque stupisce è la grande maturità di scrittura della cantautrice ferrarese (ma bolognese di adozione) che fa sue la lezione dei grandi tra rimandi sudamericani e venature jazz. Penso a un certo De André (si ascolti bene Corro tenendo a mente la struttura armonica e ritmico de Le acciughe fanno il pallone), di Sergio Endrigo e di Charles Aznavour (L’ombra) e persino di Caetano Veloso (penso all’utilizzo di certi arpeggi, per esempio, e nella sonorità di un brano come Esistere). Come detto, l’elettronica “sporca” non va minimamente a intaccare un senso di soffuso senso di dolcezza che pervade l’intero lavoro, dolcezza che trova l’apice nella coloratissima conclusiva Smetterà.

Un disco, insomma, davvero interessante che a mio avviso starebbe benissimo nella cinquine delle Targhe Tenco come album d’esordio. Staremo a vedere.

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