Jacopo Perosino – Retrò

Ci sono autori che già dalla prima opera hanno ben chiaro dove andare. Altri che forse non lo sanno, ma lo intuiscono benissimo gli ascoltatori. E poi ci sono autori come Jacopo Perosino, autore astigiano, classe 1988. Il suo album d’esordio, Retrò, è davvero un tourbillon di stili e suoni, che quasi si fa fatica a seguire o a leggere come un percorso lineare. Le curve a gomito sono continuamente dietro l’angolo. E dire che il disco vorrebbe essere una sorta di concept album liberamente ispirato a una bellissima (onirica, tenerissima e al tempo stesso commovente) opera di Dino BuzzatiIl mantello. Vi si racconta la storia di un  soldato, Giovanni, che non dà più notizie di sé; il sindaco del paese come i suoi compaesani danno ormai per certa la sua morte; unica ad arrendersi all’evidenza è la madre che continua ad aspettarlo. Finché, finalmente, Giovanni riappare. Sarà la sua, però una visita breve. Un uomo l’attende fuori, quasi gli avesse concesso questo ultimo regalo (quello di congedarsi definitivamente dalla madre e dalla sorella). Un pesante pastrano lo copre e lui farà in modo di non toglierselo mai, quasi nascondesse un terribile segreto che la madre (nel racconto) o il sindaco (nell’atto unico) alla fine scopriranno.

Se nel Mantello, però, come spesso succede in Buzzati, nulla sembra quasi succedere e il dramma resta sospeso, seppur avvertito e percepito come incombente; in Retrò non assistiamo solo a un tourbillon di stili, ma a anche di vicende, di situazioni che si rincorrono quasi senza soluzione di continuità. C’è certo in Perosino un grande amore per il teatro e questo lo porta a rimescolare le carte: se il racconto di Buzzati – divenuto anche un atto unico – presenta pochissimi personaggi e viaggia sul binario della sottrazione, il racconto di Perosino gioca sull’accumulo. Se ciò che interessa Buzzati è l’attesa, l’imminenza (di un arrivo, di un dramma… che comunque non vedremo in scena, un po’ come accade anche nel Deserto dei Tartari) a Perosino interessa capire ciò che accade poco prima del dramma finale (la morte). E ciò che accade prima è in sostanza la vita, coi suoi tormenti, le sue passioni, le sue violenze e i suoi amori.

Perosino compie un lavoro davvero interessante e stimolante: in questo caso la Morte non concede a Giovanni solo di rincontrare per l’ultima volta la madre e la sorella, ma dà la possibilità per pochi attimi (il tempo di una canzone, appunto)di rivivere e di raccontare la sua esperienza terrena. Vicende – come si accennava – di amori, di tradimenti, di delusioni, di incontri e di scontri. Vicende che ci portano a viaggiare, però non solo nel tempo ma anche nello spazio: dai carri balcanici tzigani ai primi cinema (francesi?), dai cotton club americani alle carceri urbane di qualsiasi grande metropoli. Un intrigo di personaggi e vicende che hanno tutti, però, un unico comune denominatore: il Novecento (inteso come secolo)… un mostro Leviathano che ha inghiottito almeno due generazioni con le sue guerre e le sue violenze (e Novecento è anche il brano che più risulta fedele al racconto di Buzzati).

Ne nasce, come accennavo all’inizio, un succedersi di stili musicali in cui si passa dalla ballata acustica (Levante) al tango (Mi penserai), dal charleston e swing (La mosca e la farfalla e Rosita) al blues (Dietro le sbarre). E poi ancora, echi balcanici (L’intellettuale), trequarti valzerati (La piazza), rock (900) e inserti quasi prog (L’eleganza del fiore). È, comunque, in questo rincorrersi di stili e storie che risiede il punto di forza e al tempo stesso, paradossalmente, il possibile limite del progetto. Se infatti Perosino mostra grande capacità a districarsi in questo groviglio musicale, alle volte il groviglio rischia di sottintendere un certo compiacimento stilistico (“ve lo faccio vedere io cosa so fare”, sembra quasi sentirlo dire) cedendo qua e là al manierismo, al facile esercizio di stile.

Peccati, tutto sommato, veniali per un disco d’esordio che riesce comunque molto interessante e foriero di sviluppi successivi. Ce lo dirà il tempo – quasi come in un racconto buzzatiano – dove Perosino si dirigerà.

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