Federico Sirianni – Maqroll

Quale imprudenza può spingere un cantautore genovese come Federico Sirianni – che da anni oltretutto porta in scena uno spettacolo dedicato a De André – a cimentarsi con un autore, Alvaro Mutis, che proprio De André aveva già trattato in Smisurata preghiera? Come non rischiare di cadere nel solito cliché di essere etichettato come emulo o epigono?

La risposta è semplice: l’acquisita consapevolezza dei propri mezzi. Federico Sirianni da anni ormai si è emancipato dall’insegnamento dei “padri”, Faber in primis. E mentre lo scrivo sono ben consapevole che invece in più punti proprio l’ombra del Sommo Genovese appare eccome nel suo nuovo splendido lavoro, Maqroll (penso a versi come “Per chi tra l’immondizia, i pensieri dei morti, una risacca di spine/ ha cercato un istmo di bellezza con il fiuto del cane” in Una sorta di naufragio o, ancora, a “Il senso di una carovana/ sta nel suo stesso eterno viaggiare/ …/ Che la morte ci accolga con i nostri sogni intatti” in Maqroll, alla fine (la disperanza)). Ma sono passaggi in cui Sirianni non emula, piuttosto fa suoi certi modi di intendere la vita. Perché la verità è che questo Maqroll il gabbiere segna un ulteriore e decisivo stacco verso la piena cosapevolezza del proprio essere canatutore del tutto autonomo (qui decadono persino certi ammiccamenti agli amati Dylan e Cohen). Detta in altri termini, questo è un grande disco di un grande cantautore. Nulla di più nulla di meno. Con buona pace di chi – come in una sorta di riflesso pavloviano – appena sente che un cantautore è genovese porta alla bocca (e poi alla penna) l’espressione: “be’ sembra un po’ De André”.

Toltoci questo peso, possiamo procedere nell’analisi del disco (che poi solo disco non è, avendo al suo interno un succoso libretto con racconti e fotografie di diversi autori).
Intanto chi è Maqroll? Come risaputo è un personaggio nato dalla penna dello scrittore colombiano Alvaro Mutis. Maqroll fa il gabbiere, vale a dire il marinaio specializzato nell’andare sui pennoni degli alberi per la manovra delle vele. Per certi aspetti è quindi un marinaio in “gabbia”. Ma è da questa  gabbia che egli può vedere non solo – o non tanto – le imprese della sua imbarcazione, ma le tante imprese di quelle strane imbarcazioni che sono gli uomini: “Dicono che da ponte di vedetta/ le cose e il nulla si vedono meglio e prima”. Maqroll è un anarchico, a suo modo, costretto a non avere mai un vero porto dove fermarsi (ma forse neppure lo vuole), un errabondo.
Sarebbe facile leggere in lui – tramite Sirianni – l’allegoria dell’artista, del cantautore costretto tutta la vita a calcare i più diversi palcoscenici, a incontrare – e a raccontare – le tante vite delle persone che gli sfilano accanto. Ma sarebbe una lettura parziale. Questo Maqroll di Sirianni è infatti l’uomo tout court. Tutti gli uomini. Anche quelli che non sanno di essere naviganti che non sanno di essere gabbieri. Perché se è vero che ogni varo di una nave prelude ad un naufragio (termine forte di tutto il disco), anche ogni vita – come saggiamente ricorda Jodorowsky… sì, anche lui è presente in questo album con il riferimento agli Arcani Maggiori dei Tarocchi – è il preludio alla morte: “Quando l’uomo costruì la prima nave/ guidato da uno spirito randagio/ inconsapevole di quell’errore/ avrebbe costruito anche il naufragio”. E se tra il varo e il naufragio (perché non c’è barca che scampi dall’inesauribile scorrere del tempo) c’è un lungo viaggio, così tra nascita e morte (perché non c’è uomo che possa sfuggire alla morte) c’è un’intera vita. Ed è proprio la vita ciò che qui Sirianni ci racconta. Una vita errabonda, perché ogni vita alla fine lo è. E allora davvero il senso stesso del viaggiare non può che essere il viaggio, così come il senso dell’esistere non può che essere la vita. E se naufragio ci deve essere che almeno lo si impari ad affrontare: “Ho attraversato gli oceani imparando a naufragare” (Per arrivare a te).

 

Ma “Maqroll” è anche uno splendido disco d’amore. Un amore ricercato, agognato, inseguito tutta la vita. E poi – spesso – irrimediabilmente perduto (Il mio amore sospeso). L’amore… per Sirianni anche le parole sono esseri viventi che vanno tutelate – soprattutto quelle desuete, quelle che rischiano l’estinzione – e quindi amate. Per questo motivo, come nei precedenti lavori, ritroviamo termini inusitati all’interno del mondo della canzone. Sono, per esempio, “il fiore di sicomoro”, “Il laudano” (da bere con John Keats), gli “aruspici” (delle case editrici, con chiaro intento sarcastico), “Il bitume” (di Giudea), “le ali delle poiane”. Non mancano poi improvvise metafore che danno il “la” a nuove similitudini: “Galleggiando su una vita palude/ come una barca incagliata sulla chioma di un albero” in Maqroll, alla fine (la disperanza). Così come le frasi apodittiche: “E chi non vuole imparare un mestiere/ farà lo sbirro o il curato/ e chi non sa sciogliere i nodi/ non salverà un impiccato” (Pane e passione). E sempre in sede di figure retoriche le anafore (Lettera da nessun doveLa ballata dell’acqua) e le sinestesie (“un sole effimero”).
L’urgenza di dire, di raccontare, di raccontarsi – seppur attraverso la maschera del personaggio di Mutis – porta a un forte prevalere dell’elemento testuale su quello musicale in più punti (tanto che molti brani sembrano dei quasi recitativi). Ma la grande musica non manca di certo, anche grazie al preziosissimo contributo del fido Raffaele Rebaudengo alla viola (e agli arrangiamenti degli archi) e a FiloQ all’elettronica.

Come non mancano poi i soliti riferimenti alla Sacre scritture (e più in generale ai simboli cristiani); agli autori della grande letteratura: Melville (ovviamente), Borges, Garcia Marquez, Garcia Lorca, Bulgakov, Kavafis, Jodorowsky, Bolaño; a Guccini e De Gregori (“Ma se io avessi previsto tutto questo non avrei lasciato i figli/ a camminare su pezzi di vetro fra le rovine”); a Fossati (si veda un verso come: “Di vento e di accettata rassegnazione/ è disperanza”).

Come detto, il Cd è impreziosito da un volumetto contenente interventi di Giorgio Olmoti, Enrico Remmert, Guido Catalano, Bruno Morchio, Vincenzo Costantino Cinaski, Roberto Mercadini, Saba Anglana, Remo Rapino, Luca Morino, Claudio Pozzani, Anna Lamberti Bocconi, Andrea Donaera, Barbara Fiorio e Martha Canfield.

Imbarcatevi anche voi in questo viaggio senza fine – o la cui fine è nota… che poi è lo stesso – non soffrirete il mal di mare. Ne varrà la pena.

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