Intervista a Aldo De Scalzi

Aldo, partiamo dalle tue prime esperienze presso lo studio G allestito da tuo padre.

Lo studio G nasce, in effetti, per un’intuizione di mio padre. Il nome deriva dal fatto che è stato fondato da mio padre Gianni, appunto, Giampiero Reverberi e dal tecnico Giorgio Guglieri. E poi, naturalmente, la G stava anche per Genova. Guglieri era un tecnico e un ingegnere; è lui che aveva cablato tutto, sistemato le leve… per quei tempi un qualcosa di fantascientifico. Io ci bazzicavo in continuazione, la mia maturazione musicale e artistica nasce proprio lì.

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E come si trova un ragazzo che a quell’età ha già un fratello famoso?

Guarda, un ragazzo in quanto tale è stimolato da quella situazione. Sai, poi, in realtà per me era anche diverso perché la musica è sempre stata di casa. Mia madre suonava il piano, ha frequentato il conservatorio – che poi credo non abbia finito a causa della guerra –, suonava nel ristorante di mio padre. Mi ricordo per esempio le serate con Marisa Del Frate e suo marito, il maestro Aldo Buonocore, finita la cena, mia madre suonava e la Del Frate cantava. Mia madre componeva anche… più di una canzone l’abbiamo scritta insieme come A Maenn-a con Piero Parodi e Vito Elio Petrucci. Molte cose le ha scritte invece con Bunni. Quindi, per tornare alla tua domanda, è vero che avevo un fratello più grande che suonava, ma per me era una cosa assolutamente normale. In casa mia era tutto uno stimolo musicale. Mi ha anche aiutato molto il fatto di andare alla Scuola Germanica, perché lì mica si faceva musica come nelle nostre scuole, lì c’era davvero una grande cultura artistica-musicale. La loro didattica musicale era la Orff, tanto per capirci, fatta di flauti dolci… flauti di legno della Bohem, mica i nostri di plastica! Ovunque mi girassi c’era musica che suonava nella mia gioventù!

E un padre che assecondava questa vostra passione, cosa mica tanto scontata per i tempi…

È verissimo. Devo anche dire che nella prima parte dell’infanzia io mio padre l’ho vissuto molto poco, stavo con i miei zii; mio padre lavorava e lo vedevo solo di mattina presto. Per contro, verso i 18 anni, quando è stato il momento di prendere delle decisioni importanti per la mia vita, lui mi ha sorretto molto nella mia decisione di fare questo lavoro. Mi ha “imposto” solo di fare fino in fondo il musicista, se proprio avevo scelto quella strada. Comunque è vero: non è così scontato aver avuto un padre di questo tipo.

A proposito di Scuola tedesca, nel 1975 con un gruppo di compagni dai origine ai Picchio dal Pozzo…

Sì, nasciamo nella scuola tedesca ma ovviamente le prime idee le abbiamo buttate giù presso lo Studio G. Suonacchiavamo un po’ tutti e quattro, anche se poi in effetti Karaghiosoff era più un creativo che uno strumentista, è lui che ha fatto nascere il nome del gruppo, per esempio. C’era davvero grande fermento creativo in tutti noi, molta poca introspezione e molta voglia di cercare soluzioni fuori dagli schemi e che ci facessero divertire in senso lato.

Anche in questo si può vedere come sono cambiati i tempi, oggi sembra di assistere semmai a una corsa a rientrare negli schemi per poter ottenere visibilità.

La nostra unica finalità era creare. Senza intenti economici. E creare soprattutto cose nuove. Eravamo totalmente liberi. Man mano che siamo andati avanti, abbiamo invece incominciato a pensare in modo più costruttivo e intellettuale-politico, se vuoi. Questo secondo me ha fatto un po’ morire quella che era l’energia iniziale. Alla tenera età di 40 anni mi sono trovato a fare il compositore di colonne sonore, per me è stata una rivoluzione, un ritrasformami. È come se mi fossi nuovamente trovato libero, dopo aver attraversato – dopo l’esperienza Picchio – il mondo della discografia, il pop, l’esperienza con i New Trolls… è stato davvero liberatorio. Sei libero dal cercare per forza il Fa dopo il Do o quel preciso suono di batteria o ancora quel synth perché un altro non va più di moda. Ecco, secondo me la rinascita dei Picchio, nei primi anni del Duemila, deriva anche da questa riscoperta di libertà, un atto totalmente liberatorio. L’altro elemento fondamentale è stato spostarmi a Roma. Per me è stata una rivelazione. A Genova è tutto molto difficile. Se cerchi un suonatore, la prima domanda che ti fa è: “Quanto guadagno, quanto me ne viene in tasca?”. Per carità, domande legittime, perché quello è il suo lavoro. A Roma c’è prima di tutto l’approccio artistico: “Lo faccio perché mi piace come progetto”. Da quel momento l’accordo si trova sempre. È vero che uno deve anche mangiare, ma secondo me l’elemento artistico dovrebbe essere messo davanti.

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Tornando all’esperienza dei Picchio. Mi pare che questa voglia di rompere gli schemi fosse anche una sorta di risposta alla generazione che vi aveva preceduto, quella dei cantautori.

È una lettura che ti do buona. Sì, credo che sia proprio così. Io per esempio non amavo assolutamente De André, l’ho riscoperto solo di recente. Piuttosto che ascoltare La guerra di Piero mi sarei tagliato le vene… La minore, Mi maggiore, non se ne poteva più! Io ascoltavo Frank Zappa. Ecco, al limite salvavo Luigi Tenco che trovavo più accattivante. Ammetto di aver sempre poco sopportato la canzone d’autore. È vero, riconosco che si sia evoluta nel tempo, però per me canzone d’autore vuol dire Bob Dylan, che da un punto di vista musicale è un bucocefalo! Ho capito col tempo l’importanza della canzone d’autore, la sua necessità di lanciare un messaggio. E per lanciare un messaggio devi arrivare a più gente possibile con scelte musicali quindi anche facili, fruibili. Il cantautore è quello che era una volta il cantastorie.

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A proposito di collaborazione, alla fine degli anni Ottanta suoni anche con i New Trolls.

Detta papale papale, è mio fratello che mi ha buttato dentro, perché era un periodo non facile della mia vita. Ero in confusione mentale. E così ho fatto al tournèe con Anna Oxa, un’esperienza bellissima.

E quindi arriva il passaggio alle colonne sonore con Pivio.

Pivio lo conoscevo già da tempo, almeno dal 1981. Lui faceva l’ingegnere, per cui la musica per lui era davvero solo sperimentazione. Non aveva la necessità di fare il musicista per soldi, lui è sempre stato un grande sognatore, per fortuna. E mi chiamava ogni volta per provare e sperimentare nuovi suoni, creare pezzi con musiche che non fossero le nostre. Da queste sperimentazioni sono nati tre album, Maccaia, Mirag e Deposizione. Quello che avviene dopo è davvero incredibile, una serie di casualità che va contro ogni casistica. Pivio casualmente si ritrova ospite con un amico comune a cena a casa di Marco Risi, il figlio di Dino. Marco ai tempi era il produttore di Bagno turco. Durante la serata sempre casualmente l’amico comune mette su un nostro cd. Marco resta colpito dalla musica: “È proprio quello che ci serve per il mio film, ma chi l’ha scritta?”. Neppure sapeva che era il cd di Pivio! A quel punto Pivio si informa sul film e in breve giungono a un accordo per fare la colonna sonora. Oltretutto Ozpetek abitava nel portone di fronte a Pivio. Il colmo della sincronicità! Insomma, Pivio mi chiama e facciamo questa colonna sonora, ma in maniera molto libera. Io ero abituato al mondo della discografia dove non va mai bene niente, dove trovi sempre il produttore che ci mette il becco. In maniera molto tranquilla facciamo una provinatura e la mandiamo. Per loro era tutto Ok e la colonna sonora era fatta. Mesi dopo Pivio si è preso quindici minuti di applausi a Cannes. Da lì abbiamo capito che la strada della colonna sonora non era solo un gioco, ma la nostra vera strada. A seguire è partito tutto, dopo quattro mesi abbiamo fatto Viola bacia tutti ed Elvjis e Meriljin. A tutt’oggi abbiamo fatto circa una settantina di film tra cinema e televisione. Direi che va bene!

(Estratto da Genova. Storie di canzoni e cantautori)

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