Creuza de Mä e Altri Sentieri. I Linguaggi di Fabrizio De Andrè
Estratto dell’intervento: “Una lingua oltre il tempo e lo spazio. Il genovese di Creuza de ma”:
Conferenza presso l’Università di Pavia – Creuza de ma e altri sentieri. I linguaggi di Fabrizio De André
Appare piuttosto curioso che nell’ormai vastissima bibliografia deandreiana, i saggi dedicati a Creuza de ma occupino uno spazio piuttosto esiguo. Carenza di studi quanto meno insolita, prima di tutto per il valore in sé di Creuza, uno dei dischi più importanti nella storia della canzone moderna italiana, e quindi proprio per la particolarità della lingua adoperata da De André in questo lavoro. Si ha quasi l’impressione che di fronte a Creuza de ma vi sia una sorta di timore referenziale. Ciò ha determinato la nascita e la proliferazione di errori di valutazione, di verità date come acquisite e, in realtà, mai realmente indagate fino in fondo. Mi riferisco, in particolare, proprio alla questione linguistica (che è poi il campo di cui mi occupo oggi). Per cui, per esempio, si dà per scontato che quello di Creuza sia un dialetto arcaico, ottocentesco, ricco di arabismi. Mi auguro con questo mio intervento di dimostrare che le cose non stanno proprio in questi termini.
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Appare evidente che Creuza de ma rappresenti sì l’epopea del viaggio, ma di un viaggio assolutamente mentale. La Genova, l’Arabia, il Libano, la Turchia di Creuza sono solo dei quadri, lontani dal tempo e dallo spazio reali. De André sembra voler giungere ad una sorta di assolutizzazione, di astrazione dalla realtà anche quando propone scene della realtà più quotidiana. Ci si faccia caso, le sette tracce del disco sono sette bozzetti, sette quadri sganciati quasi dal vero flusso vitale e, quindi, paradossalmente più veri della realtà stessa, perché non contaminati. Non ci troviamo di fronte a un marinaio, a una prostituta, ad un padre palestinese, ma al marinaio, alla prostituta, al padre palestinese. Come se fossero dei tipi, degli ideali di una precisa realtà. Ecco allora la genialità di Fabrizio: se il Mediterraneo che descrive è un’idea del Mediterraneo (che racchiude tutte le realtà mediterranee che si sono avute nel tempo e che si hanno nello spazio), la lingua per descriverlo non può che essere un’idea della lingua. Una lingua per certi aspetti mai realmente esistita nella realtà, ma sempre esistita al tempo stesso perché nella mente del suo ideatore. Una lingua di una Genova in un certo qual modo sospesa nel tempo dove l’ieri (Sinan, A dumenega) e l’oggi (Creuza, Da me riva) possono convivere perfettamente, un genovese che sappia unire tutte le Genove del presente e del passato. Insomma, quanto Creuza de ma supera i confini spaziali e temporali unendo storie medievali turche, storie ottocentesche genovesi e ancora storie contemporanee libanesi, tanto c’è bisogno di una lingua oltre il tempo e lo spazio e questa non può che essere, appunto, una lingua mentale che unisca termini arcaici a termini odierni e addirittura termini mai esistiti.