Carlo Pestelli – Un’ora d’aria

Gli ottimisti del libero mercato – berlusconiani o meno – e della crisi che “c’è e non c’è” si tengano lontani dal secondo disco di Carlo Pestelli, Un’ora d’aria. Il cantautore torinese canta le macerie fumanti di una società senza più passato, che brucia in fretta i (falsi) miti del presente; di una società che sbandiera al vento parole ormai desemantizzate come “libertà”; di una società che ha bandito persino il concetto di morte perché troppo poco cool: “Non ho un passato o forse l’ho dimenticato/ e ogni mito ho velocemente liquidato nel niente/ di questo presente/  di un mondo elettrico,/ di un mondo senza libertà che le sbandiera tutte,/ di una città che non ha stima della morte/ dove importante è sempre  e solo andare oltre” (Aria). Una società in cui si è solo numeri nel libero (?) mercato, per cui tutto diventa merce, persino un sorriso: “Non mi volterò neanche un minuto/ e il sorriso ricevuto lo rivendo/ senza manco averlo usato” (Libero mercato). Una società abitata da zombie “col culo in uscita dai jeans”, da pseudo artisti che si autoaffermano tali superati i cinquant’anni dopo una vita passata a far altro, “equilibristi di spettacoli per forza/ appesi all’obbligatorietà della risata”; da manager rampanti “cresciuti a spot Spic e Span  omogeneizzati/ siamo un bussines plan di azionariato/ con più chips e bond dei nemici di James Bond” (Bar sotto casa). Sedicenti vivi, li avrebbe chiamati Montale. Già, inconsapevolmente, condannati a morte… o già morti. Esattamente come il dead man walking di Radio bugliolo, il quale però ha la consapevolezza di essere stato condannato e ha il coraggio di guardare in faccia le persone che oltre il vetro sono venute ad assistere allo spettacolo dell’esecuzione: “Benvenuti e prendete posto/ sul divano di pelle umana/ è qui che tirano il collo al pollo arrosto/ io sono il primo della settimana./ State comodi di là dal vetro,/ tanto seduto qui rimango io / ad offrirvi lo spettacolo segreto / di vedere una faccia nelle mani di Dio”. E così Pestelli alza lo sguardo, l’orizzonte si allarga: dall’Italia agli Stati Uniti, dagli Stati Uniti alla Palestina (passando per il Messico, l’Argentina dei generali, il Cile di Pinochet). La colomba bianca – proprio come le falene impazzite, ancora di montaliana memoria, che si schiantano sul lungo Arno all’arrivo di Hitler – cerca un rifugio, un asilo in cui far riposare le stanche ali ferite, inseguita dal corvo, dall’avvoltoio e dalla nube nera dei generali, dei “banchieri/ e dei loro cannoni”. A movimento ascendente, Pestelli, fa seguire – o anticipare – movimento discendente: dall’Italia alla Terra, dalla Terra a Torino. Lungo Dora di notte è bellissima da attraversare mentre tutti dormono, soprattutto la donna amata, in attesa di un’aurora in cui si dovranno indossare “sorrisi/ che verranno bene a colazione,/ con quel tuo capo baraccone” (Lungo fiume). Un contatto umano vero è quello che allora forse ci può salvare dalla follia quotidiana (Senza di te). O forse lo può fare solo il nostro – liberatorio – funerale (Il mio funerale). Due brani tanto strampalati quanto bellissimi, posti a conclusione.

Musicalmente Un’ora d’aria mostra l’“eclettismo” di Pestelli, il quale si muove tra ballate di ascendenza “americana” (alla Bubola e De Gregori, per intenderci) e talking blues; tra melodie popolari (Paloma blanca può ricordare le ricerche della Marini e anche il primissimo De André) e svisate jazziste (grazie anche alla presenza di Giorgio Li Calzi e Gianni Coscia). Tra echi brassensiani (Il mio funerale) e un certo modo di incedere alla Bersani (Senza di te).

Infine un accenno ai testi. Carlo Pestelli ha studiato linguistica e questo si vede eccome. Il lessico spesso si pone sul versante “alto” con termini poco usati nella canzone italiana; i versi sono lavorati e cesellati con immagini di sicuro effetto-poetico e con diverse inversioni sintattiche: “Ma forse c’è chi invidia la tua coscienza confusa/ il tuo corpo senza regole d’arte,/ la frontiera più aperta che chiusa alle tue navi/ in bilico tra Venere e Marte,/ il tuo passo recidivo/ senza sbalzi di sangue tra feriale e festivo,/ con sempre nella testa quel rumore” (Poco), “In una notte dove un fiume/ senza argini e corrente segue i passi di gente,/ che se di tutto veste, più nulla sente/ a pestare acqua morta, senza una faccia di scorta” (Lungo fiume). Insistite le rime che rasentano spesso l’omoteleuto (parole contigue con identica terminazione): “Tempo stringente immanentemente presente/ come un assorbente che non assorbe niente” (Aria). Numerosi e divertenti, i giochi di parole che possono portare anche a sottintesi erotici: “C’erano Grazia, Graziella e grazie a sto fatto/ che oltre ad esse camporella con nessuna avevo fatto/ […]/ la prima chiese alla seconda:/ “Sì ma te lo ricordi a letto?”/ Grazia fu mia compagna di scuola,/ Graziella la mia nave scuola/ e mentre che il becchino mi seppelliva/ “addio speedy orgasm” disse Graziella con la prima” (Il mio funerale).

Una menzione speciale anche al bel libretto che accompagna il cd. Ogni testo è, infatti, “introdotto” e per certi “esplicitato” da un’opera della brava Cristiana Daneo.

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