Lastanzadigreta – Macchine inutili
A lungo mi sono chiesto per quale motivo l’ascolto del nuovo disco de Lastanzadigreta, Macchine inutili, mi portasse alla mente immagini e visioni novecentesche: Metropolis, Tempi moderni, Marinetti e il Futurismo, Battiato e certo pop italico degli anni Ottanta e Novanta. Eppure le tredici canzoni del disco parlano dell’oggi, spesso anche affrontando tematiche di stringente attualità come quella ecologica (Pesce comune) o quella del riciclo (Fiori). E poi, ancora, crisi economiche, acquisti on line e lavori interinali. Da dove mi venivano quella dannate immagini del Novecento?
Come succede in un celebre racconto di Edgar Allan Poe, la risposta l’avevo ovviamente proprio sotto il mio naso. Già nella prima traccia, Attenzione attenzione, i Nostri cantano: “C’è il vecchio mondo che non muore/ e il nuovo tarda ad arrivare”. Quelle immagini nella mia testa derivavano dal fatto che seppur entrati ormai nel terzo decennio del nuovo secolo (e del nuovo millennio!) i segni del cambiamento non sono visibili. Il Duemila assomiglia dannatamente al Novecento. Forse in peggio. Credo sia la prima volta nella storia recente dell’umanità che ciò accade. Non a caso il primo decennio del Duemila è stato definito in ambito economico “The lost decade”. Che dire poi dei due decenni successivi che si chiudono e si aprono con una pandemia?
Mi si obietterà che tutto ciò c’entra poco con la recensione del nuovo lavoro della band piemontese. E invece credo che in qualche modo questo sia proprio uno dei temi centrali dell’intero disco. In queste – alcune davvero bellissime – tracce siamo insomma catapultati in una sorta di Terra di mezzo: le macchine che pure dovevano sparire a favore dell’era della digitalizzazione continuano a imperversare. Al più sanno parlare, ma a comando, con frasi sciocche e senza nessun segno di intelligenza. La macchina – con buona pace di Marinetti – ha ancora bisogno dell’uomo, perché se è vero che possiamo ordinare qualsiasi tipo di prodotto su Amazon (grazie Globalizzazione!), è vero anche che ci deve sempre essere un corriere in carne e ossa che deve poi portarcelo a casa, magari con “un camion che blocca la circolazione”. Ecco, l’uomo (con le sue fragilità) si presenta come unica risposta all’ottusità delle macchine e del sistema capitalista. L’uomo è ancora così sciocco da provare emozioni, piangere, ridere, trovare il bello in un fiore che cresce tra l’asfalto.
Insomma l’uomo ama. E poco importa che oggi la vera prova d’amore sia pagare i contributi alla compagna (Canzone d’amore e di contributi).
Insomma l’uomo immagina. E lo fa con la follia fiabesca dei bambini. Proprio come ha sempre saputo fare Gianni Rodari a cui è dedicata la bellissima Grammatica della fantasia (a proposito, piccolo consiglio non richiesto: che siate insegnanti, genitori o nonni andatevi a recuperare quel fantastico saggio che ha lo stesso nome del brano; vi assicuro non ne resterete delusi). Quale follia più sublime, nel mondo utilitaristico, che il “contaminare” il mondo con oggetti inutili quali appunto la fantasia e l’amore? E così dopo Rodari ecco entrare in scena un altro straordinario artista novecentesco, Bruno Munari. Sua è l’invenzione di quelle macchine inutili che danno il titolo all’album. Nel pieno periodo dell’industrializzazione proprio Munari ideò una serie di disegni e sculture dedicati a macchine «inutili perché non fabbricano, non eliminano manodopera, non fanno economizzare tempo e denaro, non producono niente di commerciabile», quindi «oggetti mobili colorati da guardare come si guarda un complesso mobile di nubi dopo essere stati sette ore nell’interno di un’officina di macchine utili».
La band piemontese non ha dubbi: proprio la creatività – e quindi la canzone, la poesia, la fiaba – si prospetta come una delle più maestose macchine inutili. È la creatività che “ha sconfitto i draghi a mani nude/ poi ha preso un cavallo selvaggio/ e lo ha domato/ ha conosciuto una dea naufragando su un’isola/ e l’ha lasciata un po’ male” (Millantatore). Poco male che l’artista, il cantautore, il poeta sia un millantatore. Anzi, deve esserlo, perché solo così può sconfiggere l’insorgere orrorifico dell’oggettività e del realismo, facendoci credere che possono esistere ancora grandi storie d’amore: “Millantatore/ la gente ha bisogno di te/ Millantatore/ per credere ancora/ alle grandi storie d’amore/ Millantatore/ questo realismo strizzato attraverso il buco del cuore”.
Proprio questa necessità di tornare ad una sorta di linguaggio primordiale determina anche scelte musicali piuttosto nuove per la band. Ridotte all’osso certe sperimentazioni (che pure sono presenti, penso alla splendida Macchine inutili 2), la band sembra strizzare l’occhio al pop d’autore e persino a una certa new wave, tra Battiato (in Attenzione attenzione), Battisti (in Grammatica della fantasia) e Baustelle (in Fiori). È quella che la stessa band chiama “musica bambina”, adatta per tutte le età (proprio come le favole). E proprio come i bambini, che sanno trasformare qualsiasi oggetto in nuovo strumento (anche musicale), in Nostri utilizzano oggetti bizzarri e per certi aspetti anch’essi ormai inutili (perché ritrovati in qualche discarica o comunque buttati via) come strumenti musicali. Se è vero che i bambini sanno anche inventare linguaggi tutti loro, un poco (volutamente) straniante appare l’ultima geniale Spid (unico pezzo non scritto dalla band ma da Gigi Giancursi) tutta giocata su quegli acronimi che ormai stanno infestando la nostra vita quotidiana (unica vera – e ben fastidiosa – novità del nuovo secolo?); la burocrazia prova in tutti i modi a uccidere la poesia, partendo già dalla lingua: “Il PIN dello SPID/ Il DURC regolare/ IRPEF IRAP IRES IVA IMU da pagare/ Se verso PA/ Fatturi su MEPA/ Occhio a CIG e PEC e SDI/ Con indice IPA”.
Un disco in qualche modo di resistenza nei confronti dell’abbruttimento della realtà, dell’oggettività, della razionalità. Potrebbe sembrare una sorta di ripiegamento pascoliano nel piccolo mondo della fanciullezza. Ma credo sarebbe una lettura parziale. Molte volte nel mondo ci si deve gettare e si deve combattere, ma anche in questo caso senza dimenticare la magia della poesia, come sa bene il protagonista di Tarzan (quello vero), personaggio ispirato alla figura del partigiano Dario Scaglione.
Con Macchine inutili Lastanzadigreta si conferma davvero come una delle realtà musicali più interessanti della scena musicale italiana. Avercene!
(Foto di Renzo Chiesa)