Cristina Nico – L’eremita

L’Eremita è il nono Arcano Maggiore dei Tarocchi. l’Eremita è un vecchio vestito di una semplice tunica, ha in mano una lanterna e un bastone. L’Eremita si è spogliato di tutto, del suo passato (che sta scrutando), di ciò che era. Sa che la strada da intraprendere è ancora lunga e irta di ostacoli (il bastone). Ma ha la saggezza per poterlo fare. Se, insomma, da un parte guarda al passato (il lato sinistro della carta), dall’altro è proiettato già verso il futuro che lo attende (non a caso l’Arcano successivo rappresenta La ruota della fortuna). Per la tarologia è una carta estremamente importante, perché di fatto rappresenta la fine di un percorso e il primo passo verso un salto coscienziale (da quel momento le carte saranno infatti a doppia cifra). È molto probabile che di tutto ciò che ho scritto, Cristina Nico sappia poco o nulla. Ma poco importa, perché l’Eremita (che sia la carta del Tarocco o il personaggio reale) è un archetipo potentissimo e, come si sa, l’inconscio collettivo conosce ben di più dell’inconscio individuale. Che la cantautrice genovese voglia, quindi, abbandonare questo mondo e intraprendere la strada della solitudine? Per certi aspetti sì, a patto che si intenda per strada solitaria un viaggio prettamente interiore. Un eremitaggio dell’anima, verrebbe da dire. L’Eremita, infatti, si è appena iscritto ad un corso di balli latino-americani (unico modo oggi di socializzare in tempi di social?), va – o dovrebbe andare – a fare la spesa per il suo amore. Proprio come il vecchio rappresentato nella carta, la “nuova” (ma non ancora “nuova”), Cristina guarda al suo passato e al suo presente e lo fa con un occhio critico, ben conscia degli errori commessi, ma anche con profondo disincanto per ciò che lei è adesso. E allora non può che essere prodromico proprio il primo brano che apre questo bellissimo L’EremitaDisincantica (neologismo che non a caso, a mio avviso, contiene anche il suffisso ‘cantica’): di fronte al Nulla (parola che chiude anche l’ultimo brano dell’album e che si ammanta quindi di significato forte e non a caso scritto proprio con lettera iniziale maiuscola!) che ci circonda inutili risultano le religioni a cui affidarsi (lo stesso psicologo di Dio pare abbia troppo lavoro da sbrigare, evidentemente col suo paziente!), le stelle polari non esistono più (tema ripreso anche altrove), sia quelle ideologiche-politiche che quelle interiori (gli idoli giovanili, che qui si contrappongono ai vari dei). La realtà diventa inintelligibile. Alla fine, per paradosso, l’unica cosa positiva è quella di essere rimasta come vent’anni fa e che, in fondo “il bilancio è in attivo se sei ancora vivo”. Un finale, insomma, sarcasticamente amaro che si può prestare a una doppia chiave di lettura.

Se, come detto, le certezze crollano al proprio interno, ciò accade perché anche il mondo che ci circonda sembra completamente impazzito. L’attuale Nico – che ricordiamo è in marcia verso l’eremitaggio, ma non l’ha ancora raggiunto – guarda quasi con sgomento ciò che le accade attorno tra chi vuole rifarsi l’imene, apparenti professionisti pasticcioni, religiosi affiliati a Cosa Nostra. Chi c’è è un brano giocato tutto per antinomie tra due possibili “personaggi” (“C’è chi ha visto quasi tutto e non ha capito niente/ C’è chi è costretto a letto ma ha universi nella mente”). Insomma l’Eremita guarda dentro di sé ma anche fuori di sé, domandandosi chi prende possesso della nostra mente in certi momenti (tema che Battiato aveva sviluppato in un brano iper techno-pop, come Chanson egocentrique). Ma, si badi bene, Cristina Nico non ha lo spirito della moralista pronta a farci la predica. Anzi, proprio lei è la prima in un certo senso a non perdonarsi nulla. Da questo momento l’album ha davvero un andamento da dentro-fuori (così come il precedente, Mandibole, si muoveva nella contrapposizione tra alto e basso, qui la recensione). Il dentro è ovviamente rappresentato dalle canzoni più introspettive e autobiografiche; il fuori è la realtà che le sembra di scorgere. Un disco, quindi, anche dannatamente autobiografico dove – più o meno in filigrana – troviamo citati il padre, la madre, la sorella e persino un’amica-collega cantautrice genovese (“Ho detto all’amica del cuore di non sprecare l’amore”).

Se il mondo è ormai fuori controllo e il Nulla avanza, l’unico rimedio (ancora un totale rovesciamento di prospettiva) è l’apparente follia dei diversi, di coloro che vengono additati dai più come matti o strani. Insomma, in un mondo profondamente malato e autoreferenziale, proprio gli “strambi” sono i veri portatori di salvezza (si ascolti Francesca). Certo, quella di Francesca è una solitudine imposta in qualche modo dalla depressione (da qui il rovesciamento sarcastico tra i “folli” e i “sani”) ma si presenta pur sempre come un’alternativa credibile al Nulla della società. Le creature dell’abisso sono ancora una volta quelle che forse sanno meglio leggere il presente perché non sono approdate alla razionalità utilitaristica (chissà se per uno strano scherzo dell’inconscio, Disincantica, si chiude con un riferimento a Com’è profondo il mare di Dalla). E l’amore? Certo anch’esso è una forma di salvezza (La notte per ricominciare) a patto che si parta sempre dal presupposto che occorre essere funamboli per poterlo gestire e far crescere (Funamboli).

Musicalmente il disco è un lavoro con forti contaminazioni rock tra ballate agro-dolci e sfuriate elettriche. Vi domina un senso di inquietudine con inserti strumentali – anche all’ottimo lavoro di Federico Lagomarsino (alla batteria) Robi Zanisi (alle chitarre e bouzouki), di Osvaldo Loi (alla viola) e di Raffaele Abbate (ai synth e comproduttore del progetto artistico) – che non allentano mai la tensione. Un lavoro che pur non concedendosi alla banalità della musica mainstream usa e getta risulta assolutamente vitale ed efficacissimo (anche laddove i toni si fanno più cupi). Infine, non vanno taciute le capacità linguistiche della cantautrice, che a tutti gli effetti la pongono all’interno di quello strano mondo che è la canzone d’autore. E quindi oltre alle antinomie già evidenziate, ecco anche giochi di parole “C’è chi a suon di tirar dritto gli è andato tutto storto”, “il partito dipartito”; le quasi sinestesia “Come si fa/ ad essere l’unica/ per occhi pieni/ di possibilità”; le figure etimologiche “Non mi annoia la tua noia”; le analogie “Bianco su bianco/ cavallo sulla neve,/ due spose controvento si tengono/ per mano” (e chissà che qui non vi sia un’eco di rimbaudiana memoria).

Insomma, se siete tra coloro che hanno ancora dei dubbi sulla vitalità della canzone d’autore, l’invito non può che essere quello di  avvicinarvi a questo lavoro… meglio ancora se con lo spirito dell’Eremita che alla fine non ha più bisogno di parlare né, tanto meno, di morire!

(Pubblicato su http://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/leremita/

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