Dente – Canzoni per metà
Una sorta di mostro marino, un collage di elementi umani e ittici. Sotto la scritta Canzoni per metà (come metà uomo e metà pesce è la figura rappresentata, opera dell’artista argentino FEFHU). Questa la copertina. Venti canzoni, la cui lunghezza media è di poco superiore ai due minuti. Questo il contenuto. Mi giro il cd tra le mani, cercando un senso a questo sesto lavoro discografico di Dente e, per quanto possibile, allontano da me le parole che Greil Marcus usò quando si trattò di recensire Self Portrait di Bob Dylan. Perché un senso ci deve pur essere per un lavoro che spiazza, che fa fatica a seguire anche un ascoltatore (finora) assolutamente favorevole al cantautore di Fidenza come il sottoscritto.
Si parte con Canzoncina che è davvero programmatica (di fatto, una sorta di coito interrotto: quando il brano dovrebbe entrare nel vivo – con tanto di autocitazione da Scanto di Sirene – il fade out ci annuncia che il brano stesso è finito!): una canzone davvero per metà che è anche una meta-canzone, una canzone, cioè, che riflette sul mondo della canzone oggi nel Duemila: “Scrivo una canzoncina tutta per te/ nera come le mie lacrime/ ma non ti preoccupare non la sentirà nessuna/ i cantautori non vendono più” versi che a loro volta sono una quasi citazione di Sad song di Willie Nelson: I’m writing a song all about you/ A true song as real as my tears/ But you’ve no need to fear it/ ‘Cause no one will hear it/ ‘Cause sad songs and waltzes/ Aren’t selling this year“.
Per certi aspetti una canzone-paradosso perché chi annuncia di non essere ascoltato lo fa non solo parlando a una persona, ma lo fa sapendo che invece i suoi dischi sono ascoltati eccome da migliaia di fan. Eppure, ripeto, forse qui si annida il senso del lavoro. Dente questa volta privo di band di supporto (anche se col prezioso contributo di Andrea Appino) decide di scrivere non solo di sé (di fatto la poetica di Peveri resta inalterata anche in questo lavoro: un continuo dialogare, con una figura amata presente o assente, reale o immaginaria, in maniera solipsistica e con pochissimi riferimenti alla realtà contingente; una poetica delle piccole cose più corazziniana che pascoliana) ma per sé. Se scrivo per me senza curarmi poi troppo del giudizio altrui ecco, allora, che posso “sperimentare” forme brevissime (ogni canzone dalla lunghezza “normale” è seguita in Canzoni per metà da un pezzo brevissimo, spesso inferiore al minuto). Il problema è che così facendo Dente giunge a una sorta di canzone al grado zero, in cui una semplice linea melodica viene ripetuta all’infinito, si avviluppa su se stessa come un mantra. E qui sta anche, però, uno dei limiti del disco, perché – spiace dirlo – le melodie davvero azzeccate si contano sulla punta delle dita (Cosa devo fare) e quando lo sono vengono bruscamente interrotte (penso alla splendida Come eravamo noio, ancora, ad Appena ti vedo con un bel ritmo martellante). Addirittura questo grado zero della canzone sembra coinvolgere anche i testi. Sparito il sarcasmo dei primi dischi (fenomeno già evidente In almanacco del giorno prima), molto più controllati appaiono i giochi di parole (lo stesso titolo del disco può essere interpretato come “canzoni a metà” o “canzoni per le mie metà”, o in Appena ti vedo: “Giuro che appena ti vedo, ti vedo a malapena”), oppure si articolano con un periodare ipotattico (in Geometria sentimentale ci troviamo di fronte ad un caso di canzone-ossimoro costituita da diverse subordinate – spesso con frasi nominali – introdotte anaforicamente dalla congiunzione “che” a cui manca la principale), o si limitano al giochino in rima di L’amore non è bello in cui ogni verso si conclude con una parola che rima, appunto, con ‘bello’ (giochino tanto stucchevole quanto lo è la melodia che dovrebbe reggere tutto). Certo, non mancano anche colpi d’ala come “Inchioda le tue labbra su di me/ io farò lo stesso,/ vediamo quanto tiene/ e quando poi non tiene più/ si cade giù” (Curriculum). Questa sorta di grado zero testuale raggiunge il suo massimo sia in Attacco e fuga in cui la strofa “In caso di necessità scaglia la prima pietra/ e nell’ipotesi di euforia/ fai finta che devi andare via” viene ripetuta per tutto il brano o in Senza testo? 2.0 in cui (dopo il titolo L’amore non è bello) Dente si autocita nuovamente o, per meglio dire, “aggiorna” (2.0) un brano strumentale contenuto nel suo primo Anice in bocca.
Più volte, per il suo modo di scrivere, Dente è stato accostato al Battisti anni Settanta (prendiamo la bellissima Rette parallele che ha più di un debito nei confronti di Anima Latina e, qui, al martellante basso di Geometria sentimentale paragonato a quello di Amarsi un po’). Forse solo per suggestione, ci viene in mente, ascoltando queste – spesso – brevissime tracce di Canzoni per metà, il Battisti post Mogol, quello di E già (anche in quel caso le 12 canzoni dell’album erano quasi tutti inferiori ai due minuti e mezzo) e quello dei cinque album con Pasquale Panella: c’era nell’ultimo Battisti una sorta di furia iconoclasta: la volontà di distruggere quella forma canzone (strofa-bridge-ritornello) che proprio lui aveva contribuito a esaltare in Italia. Ma quanto Battisti frustra l’orecchio dell’ascoltatore non regalandogli più una melodia da seguire, spezzando la canzone in una serie di molteplici melodie, tanto Dente compie un’operazione antitetica: anche lui destruttura la forma canzone ma qui una sola melodia (troppe volte oltretutto molto fragile) si avviluppa su se stessa senza soluzione di continuità. Il tentativo, insomma, è per certi aspetti simile (in questo caso dimostrare che anche un brano di un minuto può avere la stessa dignità artistica di un pezzo con una lunghezza più canonica), ma i risultati affatto diversi. Certo, quella di Dente è anche una chiara scelta espressiva, quella di rendere la canzone veloce e fruibile come la comunicazione in tempi di social (ancora il discorso del “2.0”) o come si fa con le storie per i bambini (e qui occorre inevitabilmente citare il suo Favole per bambini molto stanchi, edito da Bompiani), però l’impressione finale, come detto, è quella di un’occasione per molti aspetti persa, di un lavoro che purtroppo continua a dare un senso di incompiutezza… per metà. Appunto.
Apparso su http://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/canzoni-per-meta/