Patrizia Cirulli: “I mille baci della poesia”

A Patrizia Cirulli si illuminano gli occhi quando le parli di Alda Merini. A dire il vero a Patrizia si illuminano gli occhi ogni qual volta si parli di poesia in generale. Questo perché la poesia per lei non è una semplice forma artistica. Piuttosto una sorta di categoria dell’anima… un qualcosa che ti scava dentro, nel profondo. E probabilmente è per questo che ha da sempre abbinato il suo essere cantautrice alla poesia, prima in maniera sporadica, poi man mano facendola diventare parte della sua vita artistica, a cominciare dal 2010, quando musicò la poesia di Salvatore Quasimodo ‘Forse il cuore’ e con cui vince il Premio Lunezia nella sezione “Musicare i poeti”. 

Abbiamo fatto una chiacchierata con lei dopo l’uscita del suo album Mille baci (Egea Music), in cui “rilegge” le liriche di alcuni dei più importanti poeti mondiali 

Il rapporto poesia-canzone è un annoso argomento di discussione, tanto che si sono formati due “partiti”. Da una parte chi sostiene che la canzone è poesia e coloro che invece considerano canzone e poesia due forme artistiche diverse seppure gemelle (per un certo periodo storico anche siamesi). Io appartengo senz’altro alla seconda parte. Mi piacerebbe sapere tu come la pensi.
La poesia, secondo me, è bellezza. E anche la musica lo è. Credo quindi che la canzone possa essere poesia. E la poesia può diventare canzone. Come dici tu, sono forme artistiche diverse, ma anche nell’antichità venivano spesso associate. Sono mondi che si avvicinano, che comunicano fra loro. Come cantautrice, sono sempre partita dalla composizione musicale. Con il lavoro che ho fatto sulle poesie, mi sono resa conto che è possibile procedere anche al contrario, ovvero partendo dal testo. Le parole hanno un loro suono, una musicalità, oltre al loro significato, ovviamente.

In ogni modo la poesia ha una sua musicalità interna data dalla metrica e dal significante delle parole. Tanto che quasi sempre chi ha cercato di musicare poesie ha ottenuto risultati mediocri, addirittura anche alcuni poeti che hanno scritto testi per canzoni (con l’eccezione forse di Pasolini/Modugno). Mi piacerebbe sapere come hai affrontato il testo di questi grandi personaggi.
Il mio modo di lavorare parte proprio dal suono delle parole, dalla loro musicalità e dal vissuto emotivo del testo. La prima poesia che ho musicato è stata Forse il cuore di Quasimodo. Ho iniziato a leggerla ad alta voce, registrandomi e riascoltandola, avevo necessità di sentire il suono delle parole. Sono quindi entrata in un “mondo sonoro” e, insieme al senso del testo, alle emozioni che sono emerse e che ho sentito (in questo caso il testo parla della guerra), ha preso forma la parte musicale. Questa è stata la mia prima poesia in musica ed è stata un’esperienza molto forte, che è quasi difficile spiegare con le parole! Non pensavo fosse possibile e invece è successo. Con questa ‘canzone’, perché ormai per me sono diventate canzoni, ho vinto il Premio Lunezia nel 2010. Mi sono molto appassionata a questo tipo di lavoro e ho quindi proseguito con altri poeti.

La canzone ha una struttura in ogni modo tendenzialmente diversa dalla poesia; a questa per esempio quasi sempre manca un ritornello. Ecco, ho notato che tu non ti sei posta problemi per esempio a raddoppiare (cioè a ripetere) versi o intere strofe. Credo, insomma, che ti sei posta rispetto alla poesia con grande rispetto ma anche con grande libertà.
È stato così. La forma canzone ha una struttura diversa, certo, con strofe e ritornelli. Per questo ho individuato quelle che potevano essere le strofe e i ritornelli e ho ripetuto alcune sequenze per poter modulare con la forma canzone. Al di là di questo, non ho cambiato una sola parola e ogni testo è riportando integralmente.

A proposito di ritornelli, nella canzone “pop” esso è elemento essenziale, come detto non presente nella poesia. Non mancano ritornelli anche nelle tue musiche per questo disco. Mi incuriosisce sapere in che modo hai scelto la strofa che doveva fare da ritornello.
Leggendo il testo, guardandolo nel suo insieme, tenendo conto appunto della forma canzone, riesco ad individuare quello che dovrebbe poi essere il ritornello. A volte mi veniva di getto, altre volte mi sono avvicinata strada facendo, portata dalla melodia che si veniva a creare, da una percezione che mi portava esattamente alle parole del ritornello. È ormai da qualche anno che musico testi poetici e nel tempo ho sviluppato una certa sensibilità nel riconoscere quello che poi diventa il ritornello.

Sempre a proposito della difficoltà che può incontrare un musicista nel musicare una poesia: la poesia ha una sua struttura metrica (per non dire della “musicalità” delle parole). A questo punto il musicista o si adatta ad esso oppure deve necessariamente allungare o accorciare le sillabe metriche. Ho notato che tu per esempio hai saputo sapientemente usare invece gli ejambement (penso per esempio al brano La capra su testo di Umberto Saba, qui in una foto di repertorio), quei procedimenti stilistici che anziché concludere un verso o una frase, proseguono nel verso successivo.
Come ti dicevo cerco di seguire il suono e il significato delle parole, traducendo il tutto con un senso musicale. Alcune volte può succedere di dover fare degli “spostamenti” allungando o accorciando, ma questo è dovuto per forza di cose dalla musica che si viene a creare e che quindi “muove” le parole in una certa direzione. Hai citato La capra.  Durante la presentazione del disco che ho fatto a Torino al Circolo dei Lettori, una docente che era fra il pubblico ha fatto un intervento dicendo che quando in classe propone lo studio di questo testo, i ragazzi sorridono di fronte all’immagine della capra che “belava”. Ha continuato dicendo che sentendola, invece, nella forma canzone, sparisce totalmente qualunque forma di eventuale ironia, in quanto la musica che la sostiene potenzia fortemente il significato del testo a livello emozionale. Sono d’accordo con questa visione delle cose. E in effetti, un brano come questo, ha una grande potenza evocativa e un impatto emotivo molto forte.

Più in generale, qual è stato il criterio di scelta delle poesie per questo disco?
Mi viene da dirti che le ho incontrate. Ho letto vari testi, relativi agli autori che avevo in mente e, leggendo, sentivo in maniera percettiva quelle che stavano comunicandomi qualcosa. Non è un metodo assodato o codificato, ho solo seguito il mio gusto personale come prima cosa e riconoscendo quelle che più si prestavano alla messa in musica. Ho scelto quelle che mi hanno commosso, che mi hanno emozionato, che mi hanno comunicato qualcosa di importante, di profondo, di intenso, ma con un linguaggio moderno e accessibile a tutti. Stringiti a me di D’Annunzio per esempio, appena l’ho letta mi son detta “ma questo è il testo di una canzone”, per metrica, per struttura, per linguaggio. E ho iniziato a cantarla, senza nemmeno prendere la chitarra che è lo strumento che utilizzo per comporre la parte musicale. Lo stesso è successo con il testo di Eduardo De Filippo (qui nella foto), ed è stato un momento davvero magico. Altre sono arrivate senza andarle a cercare, mi viene in mente, ad esempio, il brano di Frida Kahlo (nella foto a destra in una sua celebre raffigurazione). Avevo voglia di musicare un suo testo per una serie di associazioni di immagini mentali che mi hanno portato lì.

Ho notato che quasi tutte sono poesie d’amore (con il recupero anche di una lirica di Frida Kahlo al compagno/marito Diego Rivera). È evidentemente una chiara scelta.
Ma sai che in realtà non me ne sono accorta? E comunque non è una scelta voluta e pianificata a tavolino. Come ti dicevo, sono andata a cercare testi con una profondità e un grande impatto emotivo. Cercavo solo questo. È vero, guardando il lavoro nel suo insieme emerge che la maggior parte delle poesie ha l’amore al centro. Ma credo anche che questo non sia un caso. Come sappiamo il termine “amore” viene spesso banalizzato e può suonare come una parola vuota. Ma la ragione della nostra esistenza si trova lì, si trova nella profondità dell’amore. Ed è qualcosa di reale, di concreto. Per dirla con Quasimodo “Forse il cuore ci resta…“. Ed è in quella direzione che mi piace andare. Il testo di Frida Kahlo che ho musicato, Poesia per Diego Rivera è un’altra testimonianza di amore reale, concreto. Una bellezza straordinaria per una donna straordinaria. Mi commuovo quando l’ascolto e a volte anche quando la canto.

Noto che l’unico autore contemporaneo è una donna, Alda Merini…
Alda Merini è nel mio cuore da sempre. Non poteva mancare. Ci sono due brani nel disco con suoi testi. L’intensità e la bellezza delle parole di E più facile ancora è straordinaria. Mi sono spesso soffermata a leggere e analizzare frase per frase questo testo, che contiene delle immagini dipinte da Alda con sapienza e con grande cuore. L’altro brano, Sono una fanciulla, l’ho subito sentito mio come testo, e mi sono a tratti identificata… “Sono solo una fanciulla piena di poesia e coperta di lacrime salate“, recita il ritornello. Nel mio caso, aggiungerei “piena di musica e poesia”.

A proposito di Alda Merini, qual è il tuo rapporto con la poesia contemporanea? Sei una lettrice “aggiornata” o preferisci comunque i classici?
Succede un po’ come per la musica… Sono di sicuro più affezionata ai classici. Tuttavia, mi piace incontrare e scoprire il nuovo, anche nel campo poetico. Ci sono cose che mi piacciono, ad esempio il mondo poetico di Martina Campi, giovane poetessa veneta.

Già è difficile musicare un testo preesistente… ma tu fai di più, perché in due casi oltre che la versione in lingua originale hai anche cantato la traduzione in italiano. La difficoltà in questo caso è che presumo tu abbia dovuto adattare il verso italiano tradotto alla struttura musicale scritta per il verso originale. Per quale motivo hai voluto tradurre proprio quei due pezzi?
In realtà esiste anche la versione in italiano del brano di Baudelaire, ovvero Ti adoro al pari della volta notturna, con la traduzione di Attilio Bertolucci, ma non l’ho inserita nel disco. Lo stesso testo lo si trova nella traccia 6 del disco, recitato da Giancarlo Cattaneo. Ho scelto di inserire la traduzione cantata in italiano del brano di Oscar Wilde, (qui a sinistra in una sua celebre immagine) perché la metrica equivale alla versione in inglese e sono cantabili sulla stessa melodia. Lo stesso vale anche per il brano di Frida Kahlo. E anche perché ci tengo che tutti quelli che ascoltano il disco, possano sentire e comprendere le parole di Frida.

In compenso tu milanese fai i conti con Trilussa, cantando quindi anche in romanesco… ci sarebbe stato da aspettarsi una lirica del milanesissimo Giuseppe Giusti!
Guarda, nel disco canto anche in inglese, francese, spagnolo, portoghese e poi in napoletano e romanesco. Quello che dici è vero, ma l’idea di poter cantare Trilussa mi piaceva troppo. Il testo che ho scelto è Primavera e si discosta un po’ da quello che è il Trilussa più conosciuto (qui a fianco in una delle sue più celebri immagini che lo raffigurano). É una poesia che ha scritto nel 1938 e parla della guerra, di una guerra che ancora non lascia morti sul campo ma che lui sente che arriverà. Ci sono delle immagini forti, da brividi. In un passaggio parla della mancanza delle rondini dai cieli di Roma sostituite da aerei da bombardamento che si stanno avvicinando… È stato l’unico testo (tra quelli cantati non in italiano o in dialetto) per il quale non ho avuto la “super visione” da parte di qualcuno sulla pronuncia, mi è venuto istintivo cantarla così. Compare nel finale del brano anche Andrea Di Cesare (qui a fianco), straordinario violinista che ha suonato nel brano e anche in altri del disco, che in questo caso ha cantato le ultime frasi con me.

Nell’album c’è anche un testo di un “non poeta” di professione – mi perdonerà la definizione – ma uno straordinario musicista, Fausto Mesolella (che aveva già collaborato con te nel progetto ‘Qualcosa che vale’, finalista al Premio Tenco 2013 quale remake battistiano di ‘E già’). Come mai questa scelta?
Mi piace il modo “poetico” con il quale Fausto si approccia alla musica. Mi è capitato di suonare un po’ di volte con lui (qui una foto presa durante un live alla Salumeria della Musica, in occasione della presentazione dell’album ‘Qualcosa che vale’ e più sotto la relativa copertina) e un giorno, fra le altre cose, ho scoperto che scriveva anche poesie. Leggendone qualcuna sono rimasta molto colpita. Mi è piaciuto molto anche il suo modo poetico di utilizzare le parole e la costruzione delle immagini. Ne ho quindi presa qualcuna e l’ho musicata. Nel disco ho inserito Dormo, un testo molto delicato, sognante e mi viene da dire in qualche modo spirituale. Fausto canta con me alcune frasi del brano, e la sua voce delicata ed espressiva è un ulteriore dono che ho accolto con gioia e gratitudine.

Domanda conclusiva inevitabile e forse un poco ingenua, ma non posso non fartela: qual è il tuo rapporto con la poesia?
Vivo la poesia come uno stato. Non mi limito ad osservare o apprezzare la poesia in quanto tale, mi interessa l’intenzione che c’è nella poesia. E questa intenzione va portata in tutto quello che si fa, è un modo di osservare la vita e le cose.

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