Nada – È un momento difficile, tesoro

Lo psicologo Arthur janov è stato il grande teorico della terapia dell’urlo primario. Figura controversa, asseriva che recuperare il proprio urlo primario (quello dell’infanzia) permetteva al paziente di ricongiungersi con la propria psiche. Per certi aspetti era una sorta di rinascita.
Non ho idea se Nada ne abbia mai sentito parlare (anche se Jacov ha avuto in cura  anche musicisti, il più importante dei quali è stato un certo John Lennon). Se la teoria dell’urlo primario mi è tornata in mente, è perché questo attesissimo, bellissimo e dolentissimo nuovo disco della cantautrice livornese mette davvero la voce al centro del progetto. Il grande produttore inglese John Parish – con cui Nada è tornata a collaborare dopo Tutto l’amore che mi manca del 2004 – ha deciso, infatti di “sistemare” i vari strumenti almeno due passi dietro di lei. D’altronde solo così Nada può dare davvero voce al suo dolore interiore. Perché, lo accennavo sopra, È un momento difficile, tesoro è un disco dolentissimo, già a cominciare dal titolo. Solo la voce, che l’età ha reso ancora più splendida, della cantautrice può riportare l’essenza di tale dolore. Chiaro che poi la scelta è anche prettamente espressiva e prosodica. La voce diviene così un nuovo strumento, forse il più importante.

Per certi, aspetti il disco è anche una sorta di seduta analitica in cui Nada si mette a nudo, mostrando le sue fragilità, le sue lacrime, le sue paure. E come ogni seduta analitica che si rispetti – poco importa se siamo capitati nelle mani di un freudiano o di uno junghiano – non si può fare a meno di fare i conti con i propri genitori. Se il padre aviatore – in All’ultimo sparo – diventa allegoria stessa di un’intera generazione (o forse di tutte le generazioni) che è andata a combattere una guerra pensando di costruire un mondo migliore (“Mio padre era un militare dell’aeronautica/ volava sopra i cieli nella guerra/ prima che scoppiasse il mondo/ sparava ma non era cattivo/ credeva di cambiare qualcosa/ in qualcosa di meglio/ che meglio non è”), è la madre dedicataria di una delle canzoni più forti e intense dell’intero disco, O madre. Divenuta adulta, Nada cerca un dialogo con questa madre che è stata a lungo lontana da lei. È una sorta di ricongiunzione degli opposti, che termina con un finale tanto clamoroso, quanto necessario e terapeutico: rientrare nel grembo materno, quasi come un parto al contrario. Solo rientrando nell’utero della madre, vita e morte si annullano e Nada può diventare genitrice di se stessa: “Madre fammi posto tra le tue gambe/ piego la mia testa il buio è grande/ fondo profondo o dentro fino in fondo/ più in fondo più in fondo più in fondo ancora in fondo/ scava pigia  dai dai pigia e scava di più/ finché non ci sono più finché non ci sono più/ finché non mi trovo più/ è lì che sono io è lì che sono vera”. Ma la vera rinascita – quasi come nel rito dionisiaco – ha bisogno ancora di un passaggio: la disgregazione; entrare dentro noi per distruggere ogni fibra del nostro corpo e della nostra mente razionale, quindi gettare tutto alla natura per tornare docile fibra dell’universo, per dirla alla Ungaretti (Disgregare). È un tema – quello della consustanzialità della vita e della morte – che davvero fa da leitmotiv dell’intero disco, così come il rapporto pensiero-azione o terra-cielo: “Io aspetto ogni sera su un prato/ che una stella illumini la strada/ illumini/ il pensiero buca il cielo e trova un posto/ dove nascere e morire è lo stesso” (Stasera non piove).

Se è vero che È un momento difficile, tesoro è un disco profondamente lirico e personale,  in cui si canta di separazioni e di addii definitivi (Dove sono i tuoi occhi… dove l’urlo primordiale è ben udibile), è vero anche che il titolo – e il dolore – rimanda a un particolare periodo storico. Nada non si sofferma sull’attuale situazione storica e sociale italiana (no, nessun accenno a Salvini o Renzi!). Ciò non accade certo perché la cantautrice si è arroccata nella sua Torre d’Avorio. Tutt’altro. A mio avviso Nada ha ben chiaro che il momento difficile è più generale. È tutto il mondo, questo mondo, post ideologico che è entrato in crisi, è impazzito. Vi si avvertono echi di guerre e rivoluzioni, di attentati e di sangue. Se negli anni Ottanta l’angelo caduto dal cielo attendeva (annoiata) l’amore disperato al “Sassofono blu” per poi ballare con lui “tra le stelle accese”, oggi si può raggiungere l’altra parte del cielo solo attraverso la consapevolezza di aver perso le piume e quindi che si arranca, che si è fuori dal branco (Un angelo caduto dal cielo).

Eppure, alla fine, la speranza sembra fare capolino tra le pieghe (e le pieghe) dei versi. Questo soprattutto nella seconda parte del disco, quando davvero il verso si eleva in metafore ardite quanto efficaci. Si veda, da questo punto di vista, la splendida Lavori in corso (titolo già emblematico). L’inizio è in media res (grazie all’utilizzo della congiunzione ‘e’): una catastrofe, l’ennesimo attentato, un colpo di stato è in atto. Sangue e polvere sul selciato: “e metropolitane chiuse per lavori in corso/ per un colpo di stato che è scoppiato all’improvviso/ è saltata in aria un’auto, è saltato in aria il mondo/ quante immagini insanguinate/ quante strade rivoltate/ quanti colpi quante botte”. Eppure nella seconda strofa ecco la sorprendente rivendicazione di normalità, di ritorno all’umanità (una carezza, un bacio sulla guancia), di possibilità – in definitiva – che il riscatto passi proprio attraverso il recupero del nostro essere uomo: “e la vita va leggera/ come l’anima nella sera/ che ha perso la sua strada/ ma cerca un’atmosfera/ un bacio su una guancia una tenera carezza/ che sfugge come la mia timidezza/ in un tramonto un po’/ speciale che all’improvviso:/ ti si apre il cuore”.

Foto di Claudia Pajewski

Articolo apparso su: http://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/e-un-momento-difficile-tesoro/

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