Iacampo – Fructus

Arriva al suo epilogo la trilogia latino/portoghese di Marco Iacampo e vi arriva con un  altro disco – Fructus – splendido e di grande impatto emotivo. Si può ben dire, senza tema di smentita, che Iacampo è uno degli autori che più è cresciuto qualitativamente negli ultimi anni; di acqua, insomma, sotto i ponti ne è passata davvero tanta dopo gli esordi “inglesi” come GoodMorningBoye dal suo primo disco “italiano” dal titolo eponimo (ne parlavo qui).

Lo confesso, avevo grande attesa (e un poco di timore) dopo i due strabilianti Valetudo  2012) e Flores(2015) per questa nuova fatica discografica. Attesa ampiamente ripagata (e timori sopiti). Perché Fructus è davvero un gran bel disco che dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che Iacampo sa scrivere dannatamente bene, con uno stile assolutamente personale e riconoscibilissimo. Fondamentalmente si può considerare, la sua, una forma-canzone essenziale, quasi basilare. Una volta “acchiappata” una melodia, Iacampo non la lascia per nulla al mondo, costruendoci attorno un brano per certi aspetti circolare, rapsodica, a spirale – grazie anche al sapiente uso della ritmica –  che cattura l’ascoltatore e non lo lascia più. La differenza qui, rispetto ai due capitoli precedenti, è semmai la costruzione dell’abito musicale che appare decisamente più ricca, grazie agli interventi in sede di campionatura dell’artista brasiliano Gui Amabis che dà un tocco spesso esotico al tutto.

Accennavo sopra alla trilogia: Valetudo era il disco in cui Iacampo gettava i semi per una svolta come uomo e come artista, Flores era il disco in cui quei semi davano finalmente i suoi fiori; Fructus è un ulteriore passo avanti, perché quei fiori si sono trasformati in frutta, in qualcosa insomma di cui ci si può nutrire.

Fructus si muove attorno a tre grandi nuclei tematici. Da una parte c’è il senso di sacralità verso l’atto creativo, poetico, musicale. Se per Dostoevskij “la bellezza salverà il mondo”, per Iacampo basterà una buona canzone (e d’altronde in Dividi il pane canta proprio: “E una canzone salverà il mondo“). Il cantautore si paragona – già nella prima traccia dell’album, Fiore del deserto, che vede la presenza in apertura anche della voce della figlia del cantautore – a un campo desertificato che aspetta di essere reso fecondo dall’arrivo (da una sorta di Altrove) di una melodia, di una canzone: Mi trovi qui/ al centro della rosa/ qui dove il tempo/ è tutta un’altra cosa/ sto aspettando una canzone/ nell’occhio del ciclone/ quest’ uomo del deserto/ ha tutto il cuore aperto”.

L’atto magico della poesia salva il mondo perché rende, appunto, fecondo il terreno non solo del cantautore ma di tutti gli ascoltatori. L’arrivo della nuova canzone porta ad avere un “cuore aperto”, ad avere l’animo predisposto ad accogliere l’amore (secondo nucleo tematico forte del disco). E solo in questo modo l’Amore può giungere come forza che ci costringe a cambiare, a compiere un salto coscienziale. Ecco, allora, arrivare la vita nuova, quella in cui i nostri Demoni interiori saranno finalmente azzittiti. Demoni che però assurgono anche a figure paradossalmente salvifiche quando si prospettano come liberatrici di forze creative (un po’ come l’ Arcano XV dei tarocchi): “Dipende da noi/ ci scottiamo sempre il dito mignolo/ sempre da noi/ il fuoco poteva essere magnifico/ dai demoni  che reggono la confusione/i demoni che cantano questa canzone”.

Fructus, insomma, si prospetta da una parte come l’album della Sacralità (la Sacralità della canzone, la Sacralità dell’amore e la Sacralità della nuova esistenza), dall’altra come l’album della rinascita, della possibilità di costruire una nuova esistenza. Un album primaverile, di una primavera che già tende all’estate. Non fosse che poi il rischio di tornare nelle zone d’Ombra è sempre dietro l’angolo. E’ questione di un attimo. Da questo punto di vista mi pare significativo che il CD si chiuda con una canzone che si muove in direzione del tutto opposto al resto della produzione. Anni luce(altro gioiello) è l’unico brano totalmente in acustico ed è anche un pezzo in cui l’ottimismo sembra svanire. Una sorta di Angelo (contrapposto ai Demoni?) giunge in volo richiamato dal grido di dolore, con la consapevolezza che però porterà (lui che viene da Anni luce di distanza) altra incomprensione, altro nero da attraversare e fuoco dove poter risorgere o bruciare inesorabilmente: “vengo dal silenzio/ dove tacciono le idee/ vengo dallo spazio/ dove si uniscono le vie/ e ho un rimedio per il male/ dai una voce al tuo dolore/ è il solo metodo che ho/ oltre il cielo e in fondo al mare/ oltre il blu c’è sempre il nero/ e un fuoco/ è tutto ciò che ti do”.

Vedremo nel prossimo futuro dove tutto ciò porterà Marco Iacampo. Per ora, intanto, ci gustiamo questo piccolo gioiello di canzone d’autore.

(Pubblicato su http://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/fructus/

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