Paola Turci – Io sono

“Ti libero la fronte dai ghiaccioli / che raccogliesti traversando l’alte/ nebulose” (E. Montale).

Paola Turci si libera la fronte e la guancia da quel ciuffo fintamente ribelle che per anni l’ha accompagnata. È, apparentemente, un piccolo gesto di spoliazione. È, invece, una grande prova di coraggio. O, sarebbe forse meglio dire, di riappacificazione. Con se stessa. Con il suo passato. Paola non ha più paura di farsi vedere com’è realmente. Non ha più bisogno di nascondere le rughe (l’inevitabile passaggio del tempo) e le cicatrici (le inevitabili sofferenze della vita). Paola adesso ha il coraggio di apparire nuda. È un gesto che lei compie tanto fisicamente (nella splendida foto di copertina di Ilaria Magliocchetti Lombi) che metaforicamente. Perché questo è un lavoro totalmente autobiografico, tanto che – a vederla bene, la copertina – il disco probabilmente potrebbe benissimo intitolarsi Io sono Paola Turci. E potrebbe benissimo essere il completamente dell’autobiografia uscita qualche mese fa, Mi amerò lo stesso (edito da Mondadori).

Montale dedicava i versi – posti in esergo – a Clizia, la donna angelo. La donna che si sacrificava, col suo abbandonare l’Italia e l’uomo amato, per tutta l’umanità, divenendo figura cristologica. Più prosaicamente, Paola Turci nel suo riappropriarsi del suo presente, passando per il suo passato, diventa figura cristologica di se stessa. Compie il gesto più importante e umano che una persona possa fare: si perdona. E nel perdonarsi si ama. Ama anche quella cicatrice che per anni ha cercato di nascondere.

Ma tutto ciò, mi rendo conto, può portare il discorso ben più lontano di una mera recensione musicale. E invece di musica dobbiamo parlare. Ed è davvero un’ottima musica. Perché questo Io sono non è solo un album antologico per i suoi trent’anni di carriera. Nel compiere il gesto di liberarsi la fronte, Turci compie un’opera di spoliazione anche musicale: riprende in mano alcuni dei suoi brani più famosi e li spoglia dei vecchi orpelli (in alcuni caso anche un poco datati) e ci (si) regala un disco quasi- acustico. Ciò che emerge – meglio di prima – non è solo la bontà dei brani stessi, ma la grande capacità interpretativa dell’artista romana. Tanto che la voce davvero diventa strumento espressivo al pari della chitarra. Anzi, probabilmente ancora di più. Ogni nota cantata si ammanta di verità e di forza. Si prenda il brano d’apertura del disco, Volo così, che si tramuta qui in uno capitolo ipnotico di rara bellezza. O, ancora, uno dei suoi brani più famosi, Bambini. La vetrina sanremese aveva portato ad un arrangiamento originario molto pop (ma pop, intendiamoci, di alta classe). Be’ in questa veste diventa qualcosa di totalmente diverso e il grido disperato dei figli che piangono i padri desaparecido (o delle madri che piangono i figli desaparecidos) diventa davvero urlo. Molte anche le canzoni d’amore, alle volte strazianti alle volte ferocemente sarcastiche (Mani giunte). Sempre splendida – anche in chiave acustica – o forse ancora di più la cover di I miss you (Mi manchi tu). Unica nota gioiosamente pop-rock è il singolo di lancio dell’intero disco e uno dei tre pezzi inediti, Io sono, scritta da Francesco Bianconi e Pippo Kaballà Rinaldi, in cui la Turci riesce a non farsi “baustellizzare” (come era successo, per esempio, a Irene Grandi qualche anno fa col brano sanremese La comete di Halley). Gli altri due pezzi inediti sono Questa non è una canzone e Quante vite viviamo scritte a quattro mani con il fido Marcello Murru.

Insomma, questo Io sono è davvero uno scrigno prezioso di tesori che erano sepolti nei nostri ricordi, che sono stati riportati alla luce, spolverati e resi ancor più lucenti. Da ascoltare con tutta l’attenzione che merita.

Pubblicato su: http://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/io-sono/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *