Massimo Schiavon – Piccolo Blu

Massimo Schiavon ha davvero tanti meriti nell’ambito della canzone d’autore. Da alcuni anni, per esempio, è Direttore Artistico dell’importante festival “Queste piazze davanti al mare” che si svolge in estate a Laigueglia (quest’anno tra gli ospiti c’erano Paolo Turci, Marco Ferradini e Alberto Fortis… giusto per fare qualche nome). Ma Schiavon è anche un ottimo e apprezzato cantautore. E lo dimostra il suo secondo lavoro discografico, “Piccolo blu”, uscito da qualche mese. Un disco ovattato che andrebbe gustato appieno davanti ad un caminetto acceso e un buon bicchiere di vino rosso. Un disco per certi aspetti soffuso, suonato in acustica (con chitarra classica e pianoforte a farla da padrone) e in cui è spesso assente la batteria. Musicalmente Schiavon sembra rifarsi alla grande tradizione popolare con una forma canzone che davvero più classica non potrebbe essere (strofa-ritornello) e una linea melodica molto precisa dettata dalla voce.

Sembra di ascoltare un disco fuori dal tempo – o quanto meno fuori da questo tempo – con riferimenti (nell’impianto melodico) alla grande tradizione popolare, giungendo persino a sconfinare in arie che rimandano alla romanza (come nello splendido valzer “Via della pace”) o al lied (“L’amore del tempo matto”, il cui arpeggio iniziale di piano rimanda alla “Donna cannone” di degregoriana memoria).

Non mancano certo anche riferimenti più jazzati o pop (“Quaranta lacrime” che ricorda da una parte Gino Paoli e dall’altra Cristiano De André), ma appunto a prevalere è la forma ballata. Un disco fuori dal tempo anche da un punto di vista tematico: praticamente assenti i riferimenti all’attualità socio-politica, Schiavon canta i grandi temi di sempre, come l’amore e il senso ultimo dell’esistere. Moltissimi i rimandi culturali. In particolare la pittura, da Chagal a Monet, dalla Gioconda a Dalì (“riferimenti che ritroviamo anche nel libretto del cd). Ma non credo si tratti solo sfoggio culturale il suo. Il tentativo – come accennavo prima – di costruire un’opera fuori dal flusso vitale sembra semmai portarlo sulle tracce di Gozzano e del suo “statuto della stampa”. L’arte, cioè, come possibilità di sottrarre la vita al flusso vitale, immortalare sulla tela un hic et nunc che diventa per sempre. Insomma, depotenziare le angosce esistenziali, i tormenti amorosi e renderli, al tempo stesso, sempiterni. Emblematico, in questo senso, il tango “Blu” (e qui – come altrove – siamo sulle orme di Fossati che – come modello – è rintracciabile anche in diversi altri testi): il dramma dei genovesi emigrati in Argentina (dramma fatto di ricordi, di passioni, di terre abbandonate) raccontato da “mio zio Carlo” viene però proiettato in una sorta di camera asettica fatta di notturni di Chopin, versi di Montale e Prevert, disegni di Lautrec e un violino alla parete. Insomma, quasi la stanza della Signorina Felicita! Ma oltre che fuori dal tempo, “Piccolo blu”, sembra anche essere fuori da un luogo preciso. Certo diverse città vengono citate (Genova, Parigi, Berlino, Madrid). Ma, anche in questo caso, esse sembrano più luoghi “mentali”, “culturali” che veri e propri spazi reali.O melgio, lo spazio reale diventa anche immaginario. Insomma, un ottimo disco d’altri tempi, prezioso, da ascoltare con profondità. A piccoli sorsi. Come il buon bicchiere di vino che si diceva all’inizio. Da soli o in compagnia.”).

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