Dente – Almanacco del giorno prima

È un disco dolente e doloroso già a partire dal titolo questo nuovo capitolo della discografia di Dente: Almanacco del giorno prima.
L’almanacco per sua natura ha solo funzione se è proiettato al futuro e non certo al passato. Potrebbe essere uno dei soliti paradossi linguistici e logici alla Dente – che ci ha abituato a titoli bellissimi in passato come “Non c’è due senza te” – se non fosse che poi i titoli sono sempre funzionali al discorso finale. Per cui parlare di un almanacco del giorno prima vuol dire fare un discorso tutto proiettato al passato e non al futuro. A cominciare dal tema amoroso che è un vero topos dell’immaginario poetico dell’artista di Fidenza. Ci troviamo così davanti a una sorta di canzoniere amoroso tutto virato al negativo, con storie finite o in procinto di finire, in cui il soggetto lirico è in balia di profonde angosce (“Vorrei esplodere al centro di una bomba nucleare o all’idrogeno”), sia quando è in presenza della figura femminile (“Sarà che non rimpicciolisci,/ anche se ti allontani da me”) sia quando questa è lontana o si sta allontanando. Ma il più delle volte – argomento in realtà già trattato da Dente (basti pensare al titolo del disco precedente, “Io tra di noi”) – appare un terzo tra i due amanti che poi altri non è che il pensiero dello stesso autore – sorta di altre ego – che viene così personificato.

Il vero nemico, insomma, pare essere proprio il pensiero raziocinante dell’amante/amato che, in una sorta di solipsismo, crea immagini e mondi fittizi attorno a lui. Mondi che si inseriscono come intercapedini tra Lui e Lei: “E i miei pensieri sono come te/ non si contengono/ perdono tempo, si fidano del vento”. Se ho parlato di solipsismo, precedentemente, è proprio perché spesso si ha l’impressione che Dente viva in una realtà inventata di sana pianta dalla sua mente: “Penso a una casa piena di fatica/ A una sigaretta accesa/ La gomma, una matita/ La piazza con la chiesa”.
Ma accanto al tema amoroso, emerge forte anche quello del tempo che passa, come se guardarsi dietro – almanacco del giorno prima, appunto – implichi compiere una sorta di bilancio del proprio passato. Insomma, diventato adulto, Dente si chiede come è stato speso tutto questo suo tempo:

E intanto i giorni passano
la palla alle stagioni
e le stagioni passano
la palla agli anni
e gli anni passano

Adesso che ho l’età
che aveva mio papà
esattamente quando sono nato
mi chiedo come fa
come ci si sentirà
a vivere negli occhi di un neonato

Un volgersi al passato che è anche musicale, tanto che Almanacco del giorno prima potrebbe essere stato scritto e arrangiato presso gli Studi di Nanni Ricordi a Milano. Basti prendere Fatti viva dal suono decisamente vintage anni Sessanta che può far ricordare La fisarmonica di morandiana memoria. Così come numerosi sono i riferimenti, le citazioni o i richiami ai grandi nomi del passato cantautorale italiano (Battisti in “Chiuso dall’interno”, Dalla nella simil rumba di “Almeno tu”). Mai come in questo lavoro Dente ha prestato attenzione agli arrangiamenti con inserimenti anche di strumenti piuttosto inusuali come il violino (di Rodrigo D’Erasmo in Invece tu e Meglio degli dei) o i fiati e gli archi diretti da Enrico Gabrielli (membro dei Mariposa).

Pirotecnico come sempre è Dente, poi, nella stesura dei testi. Per cui ci troviamo anche in questo lavoro a giochi di parole, piccoli calembour (“A poco a poco un tanto/ di tanto in tanto un poco”), usi spiazzanti degli avverbi (“alle volte ti penso spesso”), inversione dei sintagmi logici (“Ho volato in alto e sono annegato,/ poi nuotato in fondo, sono precipitato”), titoli che esplicano il testo: Io passeggio,/ tu passeggi,/ egli passeggia… insieme a te” in “Coniugati passeggiare” (in cui naturalmente il termine ‘coniugati’ è adoperato per la sua valenza polisemantica).
Quello che però sembra mancare rispetto ai dischi precedenti è una sorta di leggerezza che si esplicava in forte autoironia. Espressioni come “Vorrei esplodere al centro di una bomba nucleare o all’idrogeno” o “Anche la polvere sotto il tuo letto/ è più felice di me/ anche l’ultima volta l’ho sentita che rideva di me” rischiano di risultare esageratamente ridondanti e grondanti autocommiserazione senza il velo, appunto, dell’ironia. A meno che, e conoscendo Dente è un’eventualità tutt’altro da escludere a priori, non sia anch’essa una scelta volontaria per spiazzare l’ascoltatore…

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