Valentina Amandolese – Nella Stanza degli Specchi

È una sorta di nouvelle vague tutta femminile quella che sta travolgendo da qualche tempo la musica genovese. Un drappello di cantautrici che lontani anni luce dalla “tradizione” si avvicinano all’indie-rock con irrequietezza, sfrontatezza e carica impulsiva. Ed è proprio su quest’onda che si muove il bellissimo disco d’esordio di Valentina Amandolese, Nella stanza degli specchi. La voce potente e al tempo stesso melodiosa di Valentina si amalgama perfettamente col potente sound di chitarra elettrica e con la parte ritmica affidata all’ottimo lavoro del duo dei Sista (Daniele Grasso al basso e Giusi Passalacqua alla batteria).

Ma sbaglierebbe di grosso chi credesse che le sonorità rock-indie possano mettere in secondo piano la parola, perché Amandolese sa scrivere ottimi testi, rifuggendo facili rime, parole tronche a fine verso e sapendo, invece, costruire immagini degne dei nostri migliori chansonier (“nascondi le tue scuse nelle tasche” è un verso che piacerebbe a De Gregori). Nella stanza degli specchi è per certi aspetti una sorta di seduta analitica, in cui analista e analizzando sono poi la stessa persona. Si cerca un senso all’esistere, un senso che passa attraverso la comprensione di un partner che, improvvisamente, scompare o cambia totalmente immagine: «Amavo la tua lunga ombra la sera ma/ all’improvviso è giorno e/ il tuo riflesso è così diverso adesso…» (Cosmico blu). O che comunque non si riesce a capire come è davvero e si vorrebbe far assomigliare all’idea che noi ci siamo fatti di lui (Osmosi). Figure in cui alla fine predomina un’ombra del proprio Ego e non il proprio Sé: «Ma tu appartieni alla folta schiera/ di portatori sani di grandi passioni/ chiamati sul palco per l’ultimo applauso/ fingono di non ricordare il proprio nome» (Nessun biglietto per il mare).

Ovviamente nella stanza degli specchi chi diventa principale oggetto/soggetto di indagine è, poi, la stessa autrice. Gli specchi – Pirandello docet – moltiplicano all’infinito la nostra immagine, rischiano di renderci impossibile compiere il viaggio versa la vera conoscenza di noi stessi. Per questo Valentina chiede a sé di stringere i denti, conscia che l’energia però non è infinita. Chi va verso se stesso – ammoniva Jung – rischia l’incontro con se stesso. Forse per rendere questo incontro meno traumatico, è meglio allora parlare di se stessi in terza persona: «Lei non si ama/ lei trema al sole» (In terza persona). Ma alla fine, in questo gioco di specchi – appunto – l’inseguito è anche l’inseguitore e i ruoli si invertono continuamente nel perenne viaggio della vita: «Mi insegui, ti cerco».

Ultima annotazione di merito: di solito le opere prime sono un poco sovrabbondanti ed ipertrofiche, Amandolese rifugge anche questo pericolo “asciugando” il disco fino a solo otto tracce, di cui una è una splendida cover hendrixiana (Bold as love).

Apparso su: http://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/nella-stanza-degli-specchi/

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