Eugenio Ripepi – Sotto La Buccia

“Il teatro-canzone è una forma che noi italiani troppo frettolosamente attribuiamo al solo Gaber. In realtà esistono a mio avviso molte altre forme di teatro-canzone, pensa ai recitativi di De André, per esempio. È una forma che viene da lontano e che per certi versi si può far risalire al cafè-chantant…”.

Eugenio Ripepi – giovane cantautore calabrese, in uscita in questi giorni con l’album La buccia del buio – è un fiume in piena. Non solo cantautore, ma anche serio e attento studioso della canzone, da tempo coltiva la speranza di far partire un nuovo corso universitario, quello appunto dedicato alla canzone-teatro. Ne parla con entusiasmo e con cognizione di causa. Ma Ripepi è anche uomo di teatro. La nostra chiacchierata parte proprio da questo aspetto.

Al teatro ci sono giunto per caso, siccome a me piaceva recitare mia cugina mi avvertì che il Teatro Stabile del Veneto avrebbe fatto dei provini, io ho mollato tutto a Reggio Calabria e sono partito per Venezia. Lì sono stato preso e mi sono poi diplomato come attore di prosa, ma effettivamente non ho mai fatto tournée e ho preferito iscrivermi al DAMS di Imperia, uscendo dall’Accademia dello Stabile. Mi sono così laureato in Scienza dello Spettacolo e attualmente sto facendo un dottorato di ricerca a Genova che mi permette di unire le due mie grandi passioni, il teatro e la canzone. Da qui la mia ricerca sul teatro-canzone. Devo però dire che la recitazione continua ad esercitare per me un grande fascino, anche se non disdegno il cinema oltre al teatro. Mi è capitato di recitare in diversi cortometraggi e questa cosa mi è piaciuta molto.

In questo lungo e poliedrico percorso come sei arrivato alla canzone?

Direi che ci sono arrivato in maniera strana, cioè volevo imparare Cirano diGuccini con una tastiera vecchissima Roland. C’era il problema però che non mi stava in aereo – era ancora il tempo in cui non avevo niente da fare – e così mi sono dovuto prendere una chitarra. Ho imparato i primi tre accordi e da autodidatta mi sono messo sotto. In realtà io scrivevo componimenti poetici ben prima di scrivere musica, per cui le prime canzoni nascono come adattamenti di preesistenti poesie. Oggi le canzoni nascono in maniera diversa, c’è una maggiore progettualità, per cui musica e testo nascono parallelamente.

Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali, se non nella scrittura quanto meno nell’ascolto?

Io sono cresciuto con Fabrizio De André. Lui era un personaggio ben più complesso e scomodo rispetto a quello che è uscito fuori negli ultimi tempi, dove se n’è voluto fare un “santino”. Se devo pensare ad un pezzo da cui trarre ispirazione dico La domenica delle salme, che è una metacanzone in cui lui se la prende con i colleghi cantautori: “voi avete voci potenti/ lingue allenate a battere il tamburo/  voi avevate voci potenti/ adatte per il vaffanculo”.  È una vera dichiarazione di poetica che insegna l’impegno sociale come necessità per il cantautore. Ecco, per me il cantautore è colui che racconta la realtà, magari anche sotto forma di metafora senza una didascalia del quotidiano che può sfociare nel luogo comune.

Hai parlato di De André, eppure c’è nel tuo disco una grande varietà di forme e di stilemi musicali. Già i primi tre brani sono piuttosto emblematici in questo senso: La luce scalza è il versante Pop, Pioggia a Falluja è più legata alla canzone d’autore e Scomparso si presenta come un brano più rock-indie.

In effetti, la scelta di mettere in apertura tre pezzi così diversi è voluta, io mi sono occupato della produzione artistica del disco, ma grazie a Milo Duranteho potuto lavorare con dei grandi musicisti e grandi arrangiatori. La declinazione Pop che hai sentito nel primo pezzo, e che è presente in altri tre brani, è una declinazione che oggi sento un poco meno mio. Sono infatti tutte canzoni più datate e ci ha messo mano il bravissimo Corrado Trabuio, a cui devo molto perché comunque ha dato una sonorità molto orecchiabile a quei brani, una commerciabilità che mi ha permesso anche di passare per radio. Perché alla fine, diciamolo pure, a me non dispiace certo essere ascoltato dal maggior numero possibile di persone! Altri pezzi invece sono decisamente più ostici, ecco perché ho inserito tre brani così diversi all’inizio. Per me è come dire: guardate che io non sono solo quello che scrive pezzi d’amore di facile ascolto. Pioggia a Falluja per esempio è un brano molto forte. Io l’ho fatta sentire solo chitarra e voce a Valter Ferrandi il quale ci ha costruito sopra una linea di archi, quindi ho chiesto anche un apporto creativo ai musicisti.Ellade Bandini mentre l’ascoltava si è ricordato di quando era in Corea in albergo con i giornalisti e sentiva le bombe da lontano, ha incominciato così a percuotere la batteria rievocando quel cannoneggiamento. Come vedi, quindi, la sonorità di un brano è anche fortemente legata alla tematica del brano stesso.

Ecco, oltre al grande cambio di registro musicale, nel disco c’è anche un grande cambio di registro nei temi. C’è una forte alternanza di momenti intimi, personali e di momenti più sociali e politici.

Le canzoni davvero autobiografiche nel disco sono in effetti poche e anche in quelle ho cercato di stemperare le cose troppo personali e di universalizzare. Se vuoi, l’unica davvero fortemente autobiografica è Ti prego amore smettila che infatti ho inserito in fondo al disco. Io preferisco dare uno sguardo verso fuori che però parta da dentro. Nell’ultimo periodo mi sono più occupato di questo aspetto sociale, anche perché trovo un po’ presuntuoso parlare di me. Conta inoltre che quasi tutto il disco è nato ben quattro anni fa ed è stato “riscoperto” grazie ad Antonio Cotta.

In effetti l’invettiva di Stanno già finendo i viveri ragazzi con quel incipit “Negli Stati Uniti dicono la guerra/ è un dovere inderogabile del mondo” mi ricorda più Bush che non Obama. Oppure alla fine non è cambiato niente e il “nuovo ordine mondiale” di Obama non è poi così diverso da quello del suo predecessore?

No, è cambiato qualcosa. L’elezione di Obama mi ha fatto quasi commuovere e pur con molte difficoltà credo che l’amministrazione Barack sia decisamente migliore di quella Bush. La guerra preventiva è stata una porcata: ti do un calcio in bocca prima io perché ho paura che lo faccia tu. La guerra in Iraq è scoppiata in seguito ad una menzogna, ieri questa cosa era solo in parte avvertita dall’opinione pubblica. Oggi, invece, è proprio evidente, è una verità storica. L’amministrazione Bush è stata dannosa. Nella canzone volevo proprio dire che le scelte economiche determinano quelle militari-strategiche in barba ad un diritto internazionale che esiste solo sulla carta.

A sentire il tuo disco sembra che non ci sia molto da sperare nel futuro di questa società tanto è vero che la soluzione sembra quella di rifugiarsi in una sorta di nido protettivo che è il passato, l’infanzia, un tempo in cui i tegolini erano quadrati, prendendo spunto da un altro tuo brano.

La buccia del buio è una constatazione del buio che ci circonda, ma è insita già nella metafora una proposta. Penso che guardare solo ciò che non va senza proporre nulla di alternativo sia un errore. In Scomparso, per esempio, è presente una lotta all’omissione, all’orrore del presente. Quando i tegolini era quadrati non presuppone una fuga dall’impegno, non vorrei che fosse letta in questo modo, per me l’impegno è importante.

Io non la vedo, infatti, come una canzone di disimpegno, ma un brano dove vengono a coesistere sia l’aspetto privato che quello pubblico. C’era un tempo in cui la società era migliore, dove i rapporti umani erano migliori, dove persino la pubblicità e la televisione erano migliori. Ecco, c’è poi da capire se i tegolini erano quadrati perché sono cambiati loro o se perché è cambiata la nostra percezione di loro crescendo…

Sì, è vero c’è anche questo aspetto nella voglia di rifugiarsi nel passato, che non è un semplice assentarsi, ma una necessità frutto della nostalgia. Ed è anche vero che i tegolini fanno riferimento ad un peggioramento della nostra società. Prendi la Tv, ancora fino agli anni Ottanta non c’era la ricerca sistematica dell’urlarsi addosso, dell’insulto. Oggi c’è il vuoto della proposta, si prende un format straniero e lo si rifà pari pari qui. Oggi chi fa Tv è quasi orgoglioso di non dover creare dei contenuti. Non voglio fare del facile moralismo, ma oggi il modello che passa è quello che non c’è bisogno di nessuna virtù, di nessuna qualifica speciale per ottenere il successo, che è poi il successo di un anno che svanisce quasi subito. Questo è pericolosissimo per i nuclei familiari odierni che considerano la televisione una nuova babysitter. Noi stavamo meno davanti alla tv, noi stavamo fuori, per strada che era una vera a propria scuola di vita.

A proposito di impegno, c’è un brano molto particolare nel disco che èIl cantautore non un mestiere. Negli anni Sessanta era quasi vergognoso esserlo, tanto che sia Tenco che De André celavano i propri cognomi nei primi dischi. Oggi tutti vorrebbero esserlo. Ma cos’è il cantautore e perché non un mestiere per te?

Il cantautore è quella persona che ha la sfortuna di avere la giornata occupata dalle cose che gli vengono in testa e che ti rovinano le occupazioni quotidiane.

Ma, come sai, c’è tutto un dibattito aperto su chi sia il cantautore: quello che si scrive e si canta i pezzi (e allora inseriamo anche Baglioni o Ligabue) oppure quello “storico” impegnato, quello della canzone d’autore.

Io parlo in effetti dei “classici”. Il cantautore esiste come figura secondo me, ma non come mestiere perché è la strada meno adatta per capitalizzare, per me è un modus vivendi. Ecco perché ti dicevo prima che il cantautore per me è quella figura che è distratto da questa attitudine ad avere la testa “occupata”.

Ci parli dei musicisti e degli arrangiatori di questo disco.

Oltre ai già citati Trabuia e Ferrandi, c’è anche Matteo Dolla che ha messo mano ai pezzi più rock. E poi Claudio Lugo con cui ho lavorato a L’ultimo indirizzo del Salvatore che è un brano piuttosto complesso. Quando i tegolini erano quadrati l’ho arrangiato invece con la band dei Sottosuono di Imperia. Poi ci sono i già citati Ellade Bandini, Marco Fadda e poi Luca Scansani bassista di Jannaci e Graziani. Sono persone straordinarie, da cui ho appreso tanto, si sono approcciate al mio lavoro con grande umiltà, io che pure per loro ero l’ultimo arrivato.

Ci parli dei progetti futuri per promuovere il disco.

Il 12 luglio sarò ad Asti musica all’interno di un cartellone davvero di primo piano (Mau Mau, New Trolls, Morga e Finardi, tra gli atri). Poi a fine agosto un concerto zero ad Imperia con i Sottosuono che dovrebbe fare da prodromo ad una vera tournèe prevista per l’autunno.

Links:
http://www.lisolachenoncera.it/rivista/interviste/sotto-la-buccia/
http://www.eugenioripepi.com/

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