Eugenio Ripepi – La Buccia Del Buio

Il buio. Una coltre che sembra avvolgerci. Bombe intelligenti sganciate su governi che non vogliono adattarsi al nuovo ordine mondiale. Bombe colorate – quasi sempre – a stelle e strisce: “Negli Stati Uniti dicono la guerra/ è un dovere inderogabile del mondo”. E poi, ancora, immigrati che cercano disperatamente un contatto con il loro mondo dall’altra parte del Mondo: «Cerco un telefono e non trovo cabine/ devo chiamare alle Filippine/ e quel dannato numero non si legge/ tra i segni scalfiti del sudore e le piogge». Mentre altre popolazioni di colore, questa volta africane, vengono sfruttate in casa loro (Fortuna bruna).

Buio, è davvero buio il mondo raccontatoci da Eugenio Ripepi nel suo disco d’esordio. Tanto che si ha l’impressione che l’unico rimedio sia una sorta di fuga verso un passato ormai perduto, quando si girava in bici tutto il giorno e persino la Tv era migliore di adesso (Quando i tegolini erano quadrati). O curando il proprio giardino degli affetti, alla ricerca di una donna che sappia condividere il dolore del mondo ma anche sfuggire alla meschinità dilagante (Trasparente). Ecco, se negli anni Settanta il privato era anche pubblico, in Buccia del buio il privato, il piccolo bozzetto intimo e quotidiano dell’uomo Ripepi, si alterna perfettamente al racconto e alla descrizione di una società che sembra sfuggire alla logica comprensione. Ad alternanza di temi corrisponde, poi, un’alternanza di stili. Emblematici in questo senso i primi tre brani: La luce scalza è un potente brano pop orecchiabile e fresco, Pioggia a Falluja è decisamente più vicina alla classica canzone d’autore, e Scomparso, con i suoi power chords, un brano che strizza l’occhio a sonorità rock-indie. Grossa attenzione riserva, poi, Ripepi ai testi. Molte le metafore e le similitudini, così come le prosopopee: «La luna a punta graffia il cielo mentre il sole duro/ sta sciogliendo ad una ad una vecchie stelle e il tuo chanel» e le sinestesie: «sui pensieri/ biondi e mori».

Certo, volendo proprio trovare un difetto, si ha quasi l’impressione che, a tratti, ci sia un certo autocompiacimento e una ricerca un poco esasperata del “colpo ad effetto”, come nella forte allitterazione di alcune strofe: «Tieni bene i tuoi segreti/ come vizi di servizi/ al servizio degli strazi/ di violenze impero e dazi». O in certe similitudini à la Marino: «Passo le mie mani sulle strade del tuo viso/ mentre dormi e prende il carro il dio del sole/…/ mentre un fiume biondo/ abbraccia l’affluente del guanciale». Ovviamente si tratta di peccati di “gioventù” e veniali. Perché in conclusione La buccia del buio è un disco che convince. Nella speranza che, però, tutto questo buio risieda solo nella buccia e qualcuno un giorno sappia offrici anche il frutto di un mondo migliore. 

Apparso su: http://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/la-buccia-del-buio/

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