Pacifico – Showcase di “In ogni casa”

Incontrare di persona Pacifico fa sempre un certo effetto. Da una parte, infatti, l’autore milanese-napoletano (ma con un quarto brasiliano) è lontano mille miglia dallo stereotipo dell’artista classico. Pacifico sembra una persona estremamente timida, riservata. Sale sul piccolo palco della Fnac e guarda quasi incredulo il pubblico che è venuto ad ascoltarlo… come pensasse: “Ma sono qui proprio per me?”. Eppure ogni tanto si sente che di questo contatto con la gente ha bisogno: gli scappa una battuta di spirito, scherza con una bambina che lo fotografa e con una signora che gli chiede di Fabio Volo (“Pensavo mi chiedessi il suo numero di cellulare”). L’unica concessione da pop star semmai la concede al look, che fa – in effetti – parecchio “intellettuale”: maglietta a collo alto, maglioncino scuro, giacca di velluto e sciarpa. Incalzato dalle domande di Lucia Marchiò (di Repubblica), le sue risposte sono sempre improntate alla pacatezza. Si vede lontano un miglio che non parlerebbe male dei suoi colleghi neppure sotto tortura. Sorride quando ricorda le sue collaborazioni: “Caterina Caselli è una forza della natura: alle volte piomba in studio all’una di notte…col rischio di non trovare nessuno!; “Io e Gianna Nannini siamo l’opposto, anche se lei afferma che io dentro ho un’anima rock: lei saltella in continuazione da una stanza all’altra, io muovo la testa ogni quindici minuti”, “L’incontro con Bersani è stato incredibile: fino al giorno prima io, che sì avevo scritto Le mie parole, ma non ero nessuno, lo vedevo in televisione e tac il giorno dopo mi chiama per collaborare”. Sul perché non fa canzoni “politiche” risponde citando Dori Ghezzi: “Lei ha detto che di fronte alla crisi attuale in Italia e non solo, De André avrebbe scritto una canzone d’amore… mi sono detto: è la strada che seguo io. E poi io c’ho anche provato a scrivere canzoni politiche, ma erano talmente noiose e retoriche che mi addormentavo sul foglio”.

Ma è quando incomincia a cantare che lo strano effetto di cui parlavo prima diventa evidentissimo. Si assiste ad una sorta di dicotomia tra la voce che canta e il contenuto di quella voce… quello stesso Pacifico, che emanava serenità e pacatezza mentre parlava, ci canta – accompagnato alle tastiere da Alberto Fabris – di dolori ancestrali, di un senso profondo di inappagamento, della ricerca di una via di fuga dal grigiore della quotidianità. La cifra stilistica – a livello testuale – è l’utilizzo delle rime che si incastrano a volte vicinissime, mai banali, spesso si tratta di verbi al participio aggettivati posti a conclusione del verso. Anche nella scelta delle canzoni Pacifico sorprende: ci si aspetterebbe una raffica di pezzi tratti dall’ultimo album, In ogni casa. E , invece, saltella anche tra i suoi precedenti lavori: Dove comincia tuttoL’incompiutaDal giardino tropicaleSolo un sognoLe mie parole e, a chiudere, la hit del momento Tu che sei parte di me. Pacifico alza la testa, mette via i campanellini che aveva attaccato vicino al microfono, un rapido inchino e un “grazie” che sembra quasi un “scusate il disturbo”.

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